La consapevolezza/presenza di una persona riesce a prevedere anche il suo grado di benessere? Le persone più “presenti” sono davvero quelle che hanno un “equilibrio mentale” migliore?

Queste sono solo alcune delle domande che i ricercatori si sono posti negli ultimi decenni, per riuscire a dare una risposta adeguata in campo scientifico è necessario trovare “una misura”.

Ed è proprio ciò che hanno fatto Kirk Warren Brown e Richard M. Ryan (2003) costruendo il MAAS o il Mindfulness Attention Awereness Scale … ascolta la puntata e valuta il tuo stato di presenza…

“Misurare la consapevolezza”

Quando si mettono insieme aspetti umanistici come la “consapevolezza” con aspetti tecnici come “la misurazione” la gente tende spesso a storcere il naso. Soprattutto chi ha una buona preparazione umanistica.

Si è vero, non possiamo “misurare la soggettività” e su questo non ci piove. Tuttavia se vogliamo studiare qualcosa attraverso il metodo scientifico è necessario avere dei parametri matematici di riferimento.

Non è un modo di “matematizzare l’animo umano” ma è un metodo (quello scientifico) che sino ad oggi sembra averci dato un certo vantaggio evolutivo rispetto a tutti gli altri metodi che conosciamo.

La distinzione tra “scienze dure e morbide”, tra “scienza” e “scienze sociali” è una distinzione di comodo. L’errore non è applicare metodi scientifici ad aspetti umani ma è credere che la scienza non sia umana.

La scienza non fa altro che ricalcare come funziona il nostro cervello, che guarda caso fa esattamente ciò che fa uno scienziato: cerca di prevedere, misurare, creare modelli, falsificarli ecc.

L’elefante nella stanza

Ho voluto iniziare con questa piccola introduzione metodologica perché troppe persone usano la scusa della “soggettività” per mettere fuori gioco ogni idea di “rigore metodologico” in campo umanistico.

Ma come abbiamo visto più volte la conoscenza è una sola, indagata da diversi punti di vista. Se fosse vivo Leonardo Da Vinci forse riderebbe nel nostro affannarci nel voler scollare gli aspetti di “misurazione e sperimentazione” con quelli umanistici.

Magari stai leggendo queste parole perché sei stato attratto dall’idea di “meditazione” o addirittura fai parte di qualche scuola tradizionale che di certo non si mette a cercare di misurare il grado di consapevolezza.

La verità è che anche nei testi antichi ci sono tentativi del genere, si non attraverso dei questionari ma attraverso delle esperienze soggettive del tipo: “quando inizi a notare la certa esperienza X allora significa che sei arrivato allo stadio Y”.

Per quanto venisse spiegata con termini filosofici o metafisici c’era sempre sotto il tentativo di imbrigliare quel concetto di “avanzamento” all’interno della pratica, come se esistessero dei gradini ben visibili. E l’idea di “gradi” è un’idea legata alla misurazione (anche se non si parla di matematica).

Numeri o non numeri

Misurare ovviamente è solo un modo per cercare di farci un’idea di un certo concetto, tuttavia è ovvio che la sensazione di presenza sia qualcosa di soggettivo. Che potremmo forse davvero misurare tra qualche annetto.

Ma dato che non tutti possono permettersi una risonanza magnetica tascabile per capire a che punto si trovano, un semplice questionario come il MAAS può essere di grande aiuto per chi fa ricerca.

Si infatti ti ho ingannato perché l’utilizzo più importante di tali strumenti non è per chi come te è magari interessato alla pratica, ma è per persone come me interessate alla ricerca (oltre che alla pratica).

Per cui per prima cosa stacchiamoci dall’idea che questo strumento possa o meno misurare con precisione la nostra consapevolezza. E’ una sorta di indicazione che però contiene una moltitudine di spunti per chi pratica.

Quelle descritte nel questionario sono tutte situazioni dove la nostra mente tende naturalmente a non essere presente: la guida, quando mangiamo, quando siamo di fretta ecc.

La presenza nel quotidiano

Ciò che cerca di “misurare” il MAAS quindi non è quanto sei bravo a meditare ma è invece il tuo grado di consapevolezza durante alcune attività quotidiane che naturalmente sono associate all’assenza di presenza.

Quando parliamo di “quotidianità” ci riferiamo spesso ad azioni che abbiamo automatizzato negli anni, cose che possiamo fare “senza pensarci”. Che se ci pensiamo sono la maggior parte delle azioni che compiamo durante il giorno.

Anche in questo momento, mentre leggi, stai facendo qualcosa che presumibilmente fai molto spesso, non devi sforzarti per leggere queste parole (spero). Ed è proprio per questo che mentre leggiamo è facile distrarci.

Perché è come se una parte di te dicesse: “ok questo lo so fare bene, quindi ho spazio anche per pensare a cosa devo cucinare per la cena questa sera”. E’ un miracolo in realtà che si possa fare molte cose in automatico, quindi evita di spaventarti se ne fai tante “così”.

I contesti scelti dal questionario sono quelli che naturalmente tendiamo a fare senza pensarci, ecco perché li hanno scelti. Ed ecco perché può diventare uno strumento di consapevolezza.

Come faccio a sapere se sono presente?

Ovviamente la domanda successiva all’osservazione precedente potrebbe essere proprio questa: “come faccio a sapere in quei contesti se sono più consapevole?”.

La più semplice risposta potrebbe essere: rifai il questionario. Ma come abbiamo visto il test è solo un pretesto per migliorare il nostro grado di consapevolezza. Si è bene rifarlo di tanto in tanto ma la risposta è un’altra.

Il modo migliore per sapere se sei presente è notare quando non lo sei! Lo sembra una sparata ma non è così e se hai alle spalle un minimo di pratica di consapevolezza attiva, cioè di meditazione, lo sai molto bene.

Infatti durante la meditazione la cosa importante non è sentirsi costantemente nel presente, ma è notare quando non ci siamo più. Sembra assurdo vero? Anche questo è molto chiaro solo a chi ha sperimentato la pratica della meditazione.

Ma in realtà ci puoi arrivare anche da solo: se infatti continui a leggere queste parole ma stai pensando ad altro, è facile che tu non riesca a capire tutto quello che stai leggendo. Per riuscirci devi accorgerti di essere distratto.

La distrazione naturale

Visto che per la maggior parte del tempo “siamo distratti” ecco che allora diventa molto più produttivo e facile notare le distrazioni e non le volte in cui siamo presenti. Anche perché quando sei presente non hai bisogno di saperlo!

E’ un po’ come chiedere ad una persona se sa quando sta dormendo, ovviamente no! Lo capisce solo se lo svegli e a quel punto potrà dirti “si stavo dormendo, potevi lasciarmi in pace a dormire” 😉

In altre parole devi tirarlo fuori da quello stato. Si ci sono delle vie di mezzo, i famosi “dormiveglia” e anche l’ipnosi fa parte di questi stati, ma la verità è che è molto più facile notare quando “non ci sei”.

La cosa straordinaria della presenza è che non si nutre nel notare se stessa, come molte abilità psicologiche, ma si nutre del notare quando sbaglia nel restare nel presente.

La cosa però più importante è tenere a mente che quello “non è uno sbaglio” ma è la tendenza naturale della tua mente. Quella di saltellare da un “ramo all’altro” dell’albero dei tuoi contenuti interiori.

Lo sai già fare

In realtà tu sei già bravissimo a notare le distrazioni, metterle da parte e tornare sul pezzo. Lo fai ogni giorno e probabilmente lo hai già fatto almeno un paio di volte da quando ti sei messo a leggere questo post.

Solo che quando una cosa ci interessa particolarmente non facciamo caso agli intoppi della distrazione, li notiamo e torniamo sul pezzo. Anche il nostro umore influenza questo andamento, più è alto il tono dell’umore e meno ci rendiamo conto delle distrazioni.

A vole purtroppo anche in modo negativo! Tuttavia nella maggior parte dei casi non ci accorgiamo di distrarci e torniamo di volta in volta sul nostro oggetto di attenzione.

E’ una dinamica molto simile a quella di un bambino che impara a camminare con il giusto supporto emotivo. Anche se casca migliaia di volte, si rialza e ci riprova con fare divertito, ed apprende via via proprio dal fatto di essere caduto.

Di volta in volta il bambino affina la propria camminata, diventa più forte in quei muscoli che gli consento di stare in piedi, proprio perché accetta ogni caduta. La riconosce, la usa come base per il movimento successivo.

Percorsi interiori

A furia di notare che in quei contesti siamo “assenti” ecco che il nostro cervello si allena a notarli. E se ci mettiamo abbastanza consapevolezza ed auto-compassione, possiamo rialzarci proprio come fa il bambino.

Non solo, a furia di riconoscerli tendiamo a smantellarli, perché è come se giocassimo ad un video game molto complicato, nel quale non è facilissimo capire quali sono le regole ed i percorsi.

Ma a furia di giocare dentro di noi sappiamo bene cosa fare, una parte di noi memorizza gli errori e cerca di volta in volta di ripetere le azioni che hanno portato maggiore successo.

Più il gioco è complesso e meno ci rendiamo conto di come riusciamo ad aggiustare il tiro. La stessa cosa avviene con la pratica della consapevolezza attiva, dove a furia di osservarci iniziamo a prendere dimestichezza con quelle “strade interiori”.

E’ chiaro che se lo facciamo “andando in palestra” diventiamo via via sempre più bravi. Se lo facciamo di tanto in tanto la cosa diventa molto più difficile. E qui entra la nostra cara meditazione che ti invito a praticare.

Che tu decida di seguire i miei corsi (come i 10 giorni completamente gratuito) o meno nella tua Città sicuramente qualcuno sta organizzando qualche corso di mediazione. Dagli un’occhiata e poi …ripeti il test 😉

Fammi sapere che punteggio hai totalizzato…

A presto
Genna

Ps. In puntata ho confuso più volte l’acronimo invertendo i termini “attenzione e consapevolezza”. A quanto pare da questi studi dovrebbe essere formato da 15 item, mentre noi ne abbiamo visti solo 14… qui trovi il test corretto e anche nel Qde.

Ecco l’item mancante: “Svolgo il mio lavoro o i miei compiti automaticamente, senza essere consapevole di cosa stia davvero facendo”


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.