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Tu senti bene gli odori? Sembra una domanda scontata ma via via che cresciamo ed invecchiamo tendiamo a sentirli sempre meno. Questa faccenda ha ripercussioni sulla nostra vita psichica e su come percepiamo noi stessi e gli altri. Recenti studi hanno evidenziato che il nostro olfatto è molto più importante di quanto ci aspettassimo per la regolazione della nostra memoria, delle nostre emozioni e della nostra vita relazionale.
Neuroscienze del corpo
Ho presto tutte le informazioni della puntata dal libro “Neuroscienze del corpo” di Nazareth Castellanos. Un testo molto bello nel quale la neuroscienziata spagnola ci accompagna per mano in un viaggio davvero affascinante tra corpo e cervello. Ecco proprio lì ho trovato gli studi sull’olfatto che mi hanno lasciato a bocca aperta, come quello citato nel quale alcuni soggetti riescono a trovare il “filo d’erba pucciato nella cioccolata”. Cosa sorprendente è il fatto che non l’abbiano trovato sentendo effettivamente il profumo ma ad istinto, portandomi a fare numerose considerazioni su questo tema.
Ho da sempre considerato l’istinto o meglio l’intuito (perché istinto è un tema più etologico che psicologico) come la somma delle nostre abilità acquisite nel tempo. E in effetti lo vedo ancora in questo modo ma la Castellanos apre una finestra interessante sull’idea di poter accedere a capacità che attribuiamo più ai nostri cugini animali che a noi esseri umani. Come quella di stanare un profumo così sottile in mezzo all’erba, la finestra che apre è chiedersi quante delle nostre azioni possano essere influenzate da questi sistemi biologici.
Non è una sorpresa che la biologia di cui siamo composti sia inconscia, qui su Psinel ne abbiamo parlato un sacco di volte, in diverse puntate ho descritto i nostri processi inconsci come biologici, per spiegare anche come mai ci sembra spesso di vivere le cose in ritardo. Come mai mi accorgo sempre dopo che avrei dovuto dire una certa frase? Come mai quella volta non sono riuscito a rispondere immediatamente come pensavo? Ecc. Alcune di queste domande trovano risposta proprio nel fatto che la biologia si prende il suo tempo, come afferma anche l’autrice del libro.
E per chi si occupa di psicologia non è una sorpresa che tali studi vadano spesso a parare sui nostri sensi. Lascia che mi spieghi meglio: la maggior parte della gente pensa che la psicologia sia quella disciplina che si occupa di aiutare le persone con disturbi mentali. In parte è vero, la psicologia clinica (e non solo) si occupano proprio di tali aspetti, della salute. Al punto tale che qualche anno fa (non troppo tempo fa) qui in Italia abbiamo passato la psicologia direttamente sotto il Ministero della Salute, rendendola ufficialmente una branca del sapere rivolta alla prevenzione e alla cura.
Ma in realtà la psicologia è molto di più, i primi psicologi della metà dell’800 studiavano il funzionamento della mente umana, non necessariamente di quella malata. Lo so è una distinzione non così netta, anche perché è inevitabile se studi qualcosa cercare anche di capire come si aggiusta. I primi studi vertevano proprio sul tema della percezione e quindi del funzionamento dei sensi, potremmo dire che tali ricerche hanno dato forza all’idea di un concreto e reale ambito di studi che stava prendendo piede… appunto la nostra amata psicologia.
Dai sensi alla psiche
Già gli antichi avevano collegato i sensi alla psiche e viceversa ma solo con gli studi dei primi fisiologi abbiamo notato alcune peculiarità della percezione, le quali sono state abilmente descritti nelle famose “regole della forma” della Gestalt. Come ad esempio la tendenza a vedere un mondo completo (a completare) ciò che ci sta di fronte, anche se effettivamente non lo stiamo vedendo. Insomma si sono accorti che non era solo l’informazione in entrata (dai sensi) a generare la percezione ma c’era di certo un processo di elaborazione.
Questa elaborazione, che più avanti verrà definita cognitiva (impropriamente perché non è solo cognitiva) sarà una delle basi che darà forza all’idea di uno studio sistematico della mente. Ecco perché questa puntata, per quanto possa sembrare assolutamente fuori dal campo della psicologia, in un qualche senso ci rientra e anche di prepotenza. Non solo per il suo aspetto storico ma perché effettivamente capire come funzionano i nostri sensi può aiutarci ad aumentare la nostra consapevolezza della loro influenza sulla nostra vita.
Non si tratta di biohacking: “respira dal naso e ricorderai le cose meglio” ma si tratta di tornare a vederci e sentirci come una sola cosa, non come due parti separate: una mente che sta dietro ad un corpo e lo guida come se fosse una marionetta. Ma sentire che siamo qualcosa di unico ci aiuta in tantissimi modi, probabilmente se mi segui già ne conosci molti, come il fatto di essere maggiormente nel momento presente. Aspetto che ci aiuta in tantissimi modi: promuovendo la neuroplasticità e facendoci vivere meglio ogni istante della nostra vita.
Si tratta invece di diventare gradualmente consapevoli di come mente e corpo siano collegati, di come quelle sensazioni di confusione mentale possono essere dovute a mancanze biologiche e viceversa. Tutti abbiamo sperimentato quel collegamento solo che non è così facile coglierlo, se ad esempio ti è mai scappato così forte da andare in bagno di corsa di certo ti ricorderai che non ti importava più nulla che fosse cognitivamente o emotivamente rilevante. Se sei una persona che odia fare i bisogni in un luogo pubblico, per pudore o per igiene, è molto probabile che tu te ne sia ampiamente fregato in quel frangente.
Allo stesso tempo se una persona che ami ti ha appena lasciato, una rottura romantica o un lutto, è possibile che quell’ottimo cibo di cui prima non riuscivi a fare a meno diventi sempre meno rilevante. Insomma corpo e mente sono davvero la stessa cosa solo che si presentano spesso sotto mentite spoglie. Quante volte ti è capitato di mangiare perché eri nervoso, oppure di sentirti agitato o frustrato perché avevi fame? Non è facile coglierlo ed è per questo che abbiamo iniziato a studiarlo sempre più seriamente, anche perché gli effetti di tali conclusioni sono più che pericolosi.
Mente e cervello
Sono noti gli studi dei giudici americani (e penso anche quelli di tutto il mondo) che prima di pranzo sono inclini a dare pene decisamente più dure rispetto al post-pranzo. Senza che se ne rendano conto il loro super potere di giudicare viene decisamente influenzato dal grado di fame. Lo stesso può capitare al contrario con effetti meno dannosi, come quando un amico vuole a tutti i costi che si mangi un ristorante di lusso, ma il fatto di avere la luna storta ti fa percepire ogni portata come mediocre e di scarso valore.
Questa faccenda viene snobbata per diverse motivazioni la prima, e forse la più rilevante riguarda la nostra cultura, la quale come si sa ad un certo punto, in particolare con le intuizioni di Cartesio, ha iniziato a fare una netta distinzione tra anima e corpo. In realtà non è tutta colpa del povero Decartes il quale non ha fatto altro che verificare una ipotesi che circolava da millenni: una cosa sono le questioni del corpo e delle pulsioni che vivono nella nostra parte biologica ed animale ed un conto sono quelle legate ai nostri valori personali e alla nostra anima. Sì come puoi immaginare la religione c’entra un sacco con tale dicotomia.
Ma non solo, come accennavo poco fa, anche la nostra percezione non ci aiuta. Infatti a molti di noi, dopo una certa età, sembra che vi sia una sorta di coscienza interiore che guida il corpo; quella strana vocina che ti parla dentro e che dovresti essere avvero tu, quella “voce della coscienza” che sembra guidare le nostre azioni. Ecco anche quello è un effetto ottico, sarebbe come dire che dato un sottomarino percepisce il mondo solo attraverso il suo periscopio, la sua parte più rilevante sia quella. Ma non è così, quello è solo l’occhio che percepisce non è tutto il sottomarino.
I mistici di ogni tempo raccontano di tale distinzione per dare man forte alle proprie ipotesi metafisiche, l’idea che esista una sorta di anima trascendente dentro di noi, immanente che rimane e non svanisce con il perire del corpo. Non solo, anche come è fatta la nostra memoria ed il nostro senso di identità ci ingannano in tal senso: se ripensi al tuo te stesso di quando avevi 16 anni, non conta che tu oggi ne abbia 30 o 60, probabilmente senti di essere sempre quella persona. Con un corpo diverso, magari molto meno agile di prima ma in fondo in fondo senti e pensi di essere sempre quell’individuo, confermando l’immanenza di una sorta di anima dentro di te.
Ecco le cose in realtà non stanno così, certo qualcosa è rimasto da quando avevi 16 anni ma posso assicurarti che sei anche molto molto cambiato da allora. Lo sappiamo non per pura filosofia ma osservando le persone che per varie ed eventuali hanno disturbi che intaccano la loro memoria auto-biografica, ecco in quei casi le persone hanno ancora una chiara percezione di se stessi e di avere una continuità con il proprio passato, solo che tale passato è completamente (o in parte) dimenticato, al punto tale che in alcuni di essi vi sono stati profondi cambiamenti nella personalità.
In realtà non abbiamo bisogno di avere un terribile incidente come quello avvenuto a Gage (la storia più nota nel campo di tutte le neuroscienze) per capire della vacuità del nostro sè auto-biografico, ci basta meditare a sufficienza per toccarlo con mano. Non è un caso che nelle tradizioni dove la meditazione assume un ruolo fondamentale (come nel Buddismo) si parli di una “illusione del sè” e non si tratta ancora una volta di speculazioni filosofiche ma di qualcosa di empirico. Io personalmente ho provato più e più volte la dissoluzione del mio sè durante pratiche prolungate di meditazione.
Meditazione e naso
Come accennavo in puntata in molte tradizione contemplative si invitano i praticanti a respirare con il naso. Prima di entrare in contatto con la Vipassana (la mindfulness) anche io ero convinto non vi fossero grandi differenze. Al punto tale che nei rilassamenti c’erano tecniche dove si respirava in parte con il naso ed in parte con la bocca, ed effettivamente come indicano gli studi non solo il naso è la fonte del respiro. In alcune pratiche vi era anche il contrario, fai entrare l’aria dalla bocca ed espellila dal naso, chi conosce un certo tipo di induzione ipnotica si ricorderà di questi aspetti tecnici molto particolari.
Ma ormai gli studi sono abbastanza chiari, respirare dal naso ha numerosi vantaggi non solo perché purifica e riscalda l’aria prima che entri nei nostri polmoni ma perché attiva diverse parti del cervello. A partire dal bulbo olfattivo stimoliamo l’ippocampo (coinvolto nell’apprendimento) e l’amigdala (coinvolta nelle emozioni) ed la corteccia cingolata (la porta tra coscienza e incoscienza). Tutte queste parti, se respiri solo con la bocca, non vengono affatto coinvolte dall’atto respiratorio. Dunque questa faccenda si allinea con il mio “malvagio” proposito di rendere la meditazione scientifica o meglio di decostruirla.
Tutto è iniziato con l’articolo sulla chiusura degli occhi, che trovi qui. Insomma uno studio che afferma che il semplice tenere gli occhi chiusi per soli 2 minuti sia in grado di ripristinare memoria e creatività a livelli pazzeschi. Il che mi ha fatto pensare: “ma tutti quei vantaggi della meditazione e di altre forme contemplative su memoria e creatività non è che possono derivare da questo semplice meccanismo?”. In altre parole la pratica meditativa non c’entra tanto con questi vantaggi quanto il semplice fatto di limitare la quantità di informazioni che dobbiamo elaborare per un breve lasso di tempo.
Le mie ipotesi pericolose sono giunte anche ad ipotizzare che, vista la nostra tendenza a scaricare emozioni attraverso il movimento e dato che quando meditiamo (bene) siamo esposti a parti emotivamente cariche della nostra vita, forse il semplice restare fermi (ed equanimi) di fronte al rievocare certe esperienze potrebbe essere parte dei numerosi vantaggi psicologici dati dalla meditazione. Qui la questione è leggermente più complessa perché effettivamente per ottenere la equanimità c’è bisogno di esercizio psicologico, cioè ti devi impegnare nel gioco delle sensazioni e non basta restare fermi… tuttavia restare fermi è un aiuto che aumenta l’errore di previsione.
In altre parole il tuo corpo si aspetta di scaricare con i classici movimenti (seppur impercettibili) ma tu glielo impedisci restando fermo e osservando. Insomma qualcosa che sembra una tortura inizialmente ma che poi diventa uno degli spettacoli più rilevanti della pratica meditativa: come abbiamo visto nella puntata che dove ho paragonato la meditazione ad un laboratorio mentale. Ecco anche questa storia del naso e del respirare attraverso esso potrebbe essere un altro piccolo mattone nella costruzione di questa casa “del male”.
Spesso abbiamo visto quanto possa essere utile unire insieme la sensazione che stiamo percependo (magari durante la scansione corporea o bodyscan) al respiro e altrettanto spesso vi ho detto “è solo una metafora”. In realtà da questi studi sembra proprio che quando inspiriamo si attivino con maggiore forza quei circuiti neuronali della propriocezione (insula e corteccia cingolata), indicando che quando si dice: “immagina di sentire il respiro nel corpo” non sia così tanto una semplice immaginazione.
Il male
Perché continuo a inserire questa parola? Perché ci sono un sacco di persone che odiano l’idea di prendere un concetto che deriva dalla tradizione spirituale, come la meditazione, per portarlo sulla terra analizzandolo come se fosse un fenomeno fisico ed umano. Non sto scherzando, non puoi vederlo perché cancello la maggior parte dei commenti poco argomentati su questo tema sui miei canali ma devi sapere che mi arrivano con una certa frequenza. “Tu secondo me non hai mai meditato per affermare di poter rendere scientifica la meditazione”.
Vedi il punto non è rendere scientifico qualcosa, la scienza non è un bollino di qualità che attribuisci alle cose ma è un metodo di studio. E’ un modo per studiare le cose, non serve a “togliere l’anima alle cose” ma serve per osservarle in modo sistematico. Ciò non significa che chi ha scoperto e tramandato queste pratiche non avesse un qualche collegamento mistico o spirituale particolare, non implica l’esistenza o meno di forze metafisiche, non implica neanche cercare di affermare che l’anima non esista. Implica semplicemente cercare di osservare le cose con un certo metodo.
Qui su Psinel raccogliamo evidenze ed ipotesi che vanno in questa direzione, perché siamo convinti che anche se la meditazione fosse stata creata direttamente da un Dio e donata agli uomini, ciò che ci è arrivato da quelle pratiche potrebbe portare vantaggi anche a chi, non crede in quelle dottrine. Non solo, siamo anche convinti che moltissima saggezza antica, come quella raccolta nelle varie forme di religione, sia in fondo una saggezza empirica trasmessa e non solo un messaggio divino. E nota che le due cose potrebbero non escludersi, cioè potrebbe essere stata un’entità metafisica a darci consigli realmente pratici ed evidenti.
Io come sa chi mi segue da tempo propendo verso una visione empirica ma ciò non elimina e non sminuisce, per quanto mi riguarda, chi possiede una fede in queste cose. Anzi, se esiste una parte metafisica e mistica della vita sono convito sia un po’ al di là del bene e del male (per citare un filosofo che ha decretato una morte metaforica di Dio ma che alcuni vedono come reale), sia al di là di queste semplici dicotomie tra spirituale e corporeo.
Insomma tenere la mente aperta, senza che il cervello caschi per terra. (altra citazione fastidiosa per molti).
A presto
Genna