
Eh se ti dicessi che potremmo essere tutti più felici immediatamente ma i nostri cervelli non vogliono? Questa è una provocazione che mi serve per spiegare un semplice principio: noi non ci siamo evoluti per essere felici ma per restare in vita, per sopravvivere. Alla natura non gli importa nulla se sei felice o meno gli importa se riesci a portare avanti la tua specie oppure no… triste messa in questo modo ma conoscendo tale assunto possiamo comprendere come vivere meglio.
Fatti per desiderare e non per la soddisfazione
Quanto raccontato nella puntata di oggi si potrebbe anche riassumere con la frase: siamo fatti per desiderare e non per sentirci soddisfatti di ciò che raggiungiamo. Se la natura ci avesse dotato di un senso di soddisfazione simile o identico al nostro senso di necessità e desiderio probabilmente ci saremmo già estinti e forse è successo così per altre specie. Uno dei nostri vantaggi evolutivi sui nostri amici Neanderthal e altri ominidi simili a noi potrebbe risiedere proprio in questa differenza: dentro di noi la dinamica del desiderio ci porta a non sentirci mai pienamente soddisfatti… perché?
So che conosci già la risposta per il tema del tapis Roulant edonico, cioè per come sono costruiti i nostri circuiti della ricompensa. Ti manca qualcosa e hai il desiderio di possederla, in quel momento i tuoi circuiti cerebrali si attivano per darti la forza per cercare quella cosa (solitamente usando la dopamina), ma non appena hai trovato quella cosa che cerchi il sistema si spegne subito o quasi subito. Quindi perdi immediatamente quella sensazione piacevole della ricerca, che nasce proprio per fare la cosa più rilevante: cercare a lungo. Il suo scopo non è farti godere profondamente di ciò che hai trovato ma semplicemente farti alzare il c…. per trovarlo.
Ed è anche per questo che spesso si dice che l’attesa del piacere è spesso più forte del piacere stesso. Tuttavia le cose non finiscono qui, perché una volta che hai trovato quella cosa ricevi si una ricompensa psico-fisiologica dentro di te. Tuttavia tendiamo ad assuefarci a tutto il processo: sia alla scarica della ricerca e sia al piacere del successo in quella impresa. Non lo facciamo perché siamo stupidi lo facciamo perché se ci accontentassimo di ciò che troviamo, di ciò che già abbiamo, rischieremmo di non innovare, scoprire, ricercare ecc. Insomma quel grado di insoddisfazione fisiologica sembra essere utile alla nostra vita quotidiana, anche se non ce ne rendiamo affatto conto.
Quando ce ne accorgiamo? Quando siamo davvero insoddisfatti e cerchiamo uno svago per poi renderci conto che quella cosa non ci ha aiutati più di tanto. Hai presente quando non vedi l’ora di avere la nuova auto, quel vestito, essere invitato a quella cena, ecc. Poi però ti compri l’auto, compri il vestito, vai alla cena ma il tuo stato di soddisfazione non è cresciuto più di tanto. Si dice spesso che il nostro grado di felicità personale abbia un set-point fisso, dato dalla nostra genetica. Se ad esempio sei una persona felice da 0 a 10, 6, se ti compri l’auto dei tuoi sogni voli subito a 8. Ma questo voto dura poco, anzi pochissimo, nel giro di qualche giorno scendi a 7 e poi torni a 6.
E sai cosa succede quando ti accorgi che le tue aspettative sono state disattese? Succede che potresti scendere anche a 5 in quel momento. E’ nuovamente la nostra corsa edonica, la cosa sembra un girone infernale ma se ci pensi è qualcosa di utile in generale. E’ utile che il nostro corpo si sappia adattare alle cose, è proprio grazie a tale capacità di adattamento che gli esseri umani vivono (da sempre) a tutte le latitudini del pianeta. Allo stesso tempo però questo adattamento è quello che non ci consente di capire che viviamo in una città iper inquinata, perché ci siamo “adattati” allo smog. Ecco lo stesso adattamento arriva per la felicità e la soddisfazione personale.
Cambiare Focus
Tutta questa introduzione mi serviva per tornare sull’aspetto tecnico dell’episodio di oggi: cambiare il nostro focus su cosa ci da soddisfazione. Dato che ci sono tutti i meccanismi riportati noi facciamo davvero fatica a godere dei risultati che otteniamo, ed è una paradosso pazzesco. Passiamo magari 5 anni o più a studiare, sogniamo giorno e notte di prendere quel titolo, attraversiamo mari e monti per riuscirci, e poi… arriva il grande giorno, coroniamo il nostro sogno e quella soddisfazione dura un’alito di vento! Quante cose accadono così nella nostra vita? Un sacco solo che non ce ne rendiamo conto.
Ecco perché essere grati di ciò che già possediamo diventa un esercizio potentissimo per riuscire non solo a prolungare quella fase di soddisfazione ma anche per darci forza per il nostro nuovo progetto. E vorrei aggiungere per il nostro “nuovo ed inevitabile progetto”, perchè è proprio questo ciò che fa la nostra mente, ci mette costantemente a lavoro verso altro. Questo meccanismo ci può portare a pensare che prima o poi riusciremo a trovare la cosa che ci darà davvero soddisfazione (e a volte ne troviamo alcune che ci danno molta più soddisfazione di altre) ma in generale tale pensiero ci porta ad un altro paradosso di cui ci siamo occupati molte volte:
Dare più attenzione al risultato che al processo! Dato che ciò che mi fa sentire sempre insoddisfatto è la mancanza di qualcosa, di un risultato: la mancanza di quel titolo di studio, dello stipendio giusto, della persona giusta accanto a noi ecc. Tenderemo quindi a concentrarci sulle mete e non sui percorsi. Non si tratta del “chi si accontenta gode” ma del fatto che se non riesci a trarre troppa soddisfazione da ciò che fai, qualsiasi cosa tu faccia con una certa intenzione, anche i singoli passi di una maratona, difficilmente riuscirai a trarre vera motivazione per proseguire.
Essere grati per ciò che già possediamo non è un semplice trucco per aumentare la felicità è un vero e proprio esercizio che ci aiuta a ripristinare un modo migliore di vedere le nostre azioni sul mondo. Di percepire i risultati che otteniamo nel bene o nel male nella nostra vita e di concentrarci maggiormente su ciò che davvero conta e non su una finta soddisfazione anticipata mentalmente che pulsa nella nostra testa ma che non trova quasi mai un reale riscontro nella realtà.
Insomma siamo destinati a sentirci insoddisfatti perché abbiamo sempre il confronto con ciò che c’era prima e con chi ci sta attorno. Altro aspetto che non ho tratto a sufficienza nell’episodio è proprio questo: l’adattamento edonico che serve per non farti sedere sugli allori è anche quello che porta a tutti gli effetti descritti sino ad ora. Ma ciò che fa di ancora più diabolico è impedirti di fare un vero confronto con te stesso, o meglio un vero confronto su come ti sentivi prima di aver raggiunto quella cosa e come ti senti dopo.
Il confronto con ciò che già possiedi
Prova questo piccolo esperimento mentale: pensa a qualcosa che possiedi e dai per scontato, come ad esempio avere l’acqua calda in casa o avere una connessione internet. Quando ci accorgiamo di essere davvero fortunati? Quando andiamo in un luogo dove non ci sono queste comodità, quando ci confrontiamo con chi non le possiede e quando succede malauguratamente di non averle a casa. E’ questo il momento più assurdo nel quale ci rendiamo conto, siamo a casa, dove siamo abituati ad avere quelle cose e di colpo succede qualcosa e non abbiamo più acqua calda e internet.
Una cosa che fino ad un secondo prima davamo per scontata non lo è più di colpo. L’esperimento mentale che alcuni miei colleghi fanno fare a chi è troppo incastrato nella ruota edonica è proprio questo: immagina se quella cosa non ci fosse o come ti sentivi quando non c’era. Anni fa usavo spesso cose del genere in studio, magari arrivava una donna preoccupata per la pulizia della casa e mi raccontava quanto si impegnasse a tenere tutto pulito per rendere felice la sua famiglia. Ma allo stesso tempo era terrorizzata dal loro ritorno a casa: “poi i miei figli e mio marito sporcano tutto e sono di nuovo d’accapo”.
Assurdo vero? Puliva per rendere felici i suoi familiari ma quando tornavano a casa li richiamava perché sporcavano il suo lavoro. Un bel paradosso no? Allora le facevo visualizzare casa sua tutta pulita come piaceva a lei e poi le dicevo: “ora la casa è perfetta come piace a lei, ma è sola, non ci sono i suoi figli, non c’è suo marito, come si sente?”. Lo so è un modo un po’ malvagio di agire ma funzionava, non con tutti ma con molti aveva l’effetto di riarmonizzare i propri valori: “ok mi sono accorta che io lo faccio per far stare bene loro ma adesso è come se lo facessi solo per me… non voglio restare sola preferisco i tappeti sporchi”.
Tranquilli però perché non vi sto consigliando di fare questo gioco malvagio ma semplicemente di fare, di tanto in tanto, mente locale su ciò che già possedete e cercare di essere grati per ciò che avete, anche se lo avete da anni, anche se ormai lo date per scontato. Anzi più siete in grado di farlo con cose che state dando per scontate e più vi darà forza, motivazione e aumenterà la vostra soddisfazione personale in ogni area della vita. Certo, non è magia, è un esercizio che va ripetuto diverse volte perché serve tempo per riposizionare il nostro focus in quella direzione.
Ora immagino che qualcuno possa dire: “ma se il nostro cervello non vuole significa che probabilmente usare questi stratagemmi potrebbe addirittura essere controproducente, toglierci la motivazione di base, ecc.” sono giuste osservazioni ma se mi hai seguito con attenzione probabilmente sai già come rispondere. Infatti in realtà la spinta a volere sempre di più, a non accontentarci mai non dipende solo dalla natura del nostro cervello ma anche dal contesto in cui viviamo. E non è un contesto che ci spinge a sentirci soddisfatti, tutt’altro.
Il paradosso della produttività
Non abbiamo mai prodotto e consumato così tanto come negli ultimi decenni. Ciò è sicuramente legato al nostro miglioramento nel tenore di vita ma anche al fatto che il nostro sistema economico si basa proprio su questi continui scambi. Tranquilli non farò il marxista (anche se potremmo dirne molte in merito) ma cercherò di mostrarti che tale spinta esterna peggiora il nostro funzionamento naturale. Mentre un tempo raggiungevamo delle cose e poi naturalmente ci prendevamo un momento per godercela (inseguivamo una preda per giorni e poi ci fermavamo a mangiarla) oggi le cose sono diverse.
Oggi la corsa a produrre, a consumare, acquistare oggetti che ci danno solo uno status ecc. è molto alta. E non si tratta di un discorso da anziani del Paese, basta guardarsi in giro per capire qual è il tipo di personaggio vincete attuale e non è di certo un monaco zen senza averi, semmai è un monaco zen che guida una Ferrari e gestisce benissimo la complessità della propria vita. Insomma un personaggio utopico e perfetto che nasce dall’incrocio di molte culture che si stanno sempre più amalgamando nel nostro tempo.
Il tema della gratitudine assomiglia molto a quello della self-kindness: spesso non riusciamo ad essere gentili con noi stessi perché siamo convinti che per essere realmente performanti la gentilezza sia deleteria. Ed invece le ricerche ci dicono esattamente il contrario, quando non confondiamo la gentilezza con l’auto-indulgenza, essere gentili aumenta la nostra motivazione. Ecco la stessa cosa succede con la gratitudine: siamo portati a pensare che essere grati ci faccia perdere mordente sulla realtà, ci faccia diventare pigri perché non desideriamo più altro. Ed invece non succede il contrario…
Cioè non è che diventiamo maggiormente bramosi ma alimentiamo una sana motivazione a ricercare cose che ci facciano sentire grati e non solo soddisfatti. A tenere a mente i successi del passato, piccoli o grandi, quindi a mobilizzare quelle famose risorse di cui si sente parlare sempre nel campo della crescita personale e professionale. A me questo pare essere un modo molto interessante per andare a bilanciare quella tendenza di ricerca e desiderio costanti che abbiamo dentro. La risposta non è il dominio delle passioni ma comprendere che c’è un tempo per desiderare ed uno per essere grati.
Desidera pure quanto vuoi ma poi fai i conti con ciò che sei attraverso la consapevolezza e diventa cosciente di ciò che hai già raccolto… tutto qui? Si, c’è solo un piccolo problema, per riuscirci serve impegno e dedizione! E di queste due “brutte” parole parleremo approfonditamente nei prossimi episodi.
A presto
Genna