Da anni cerchi di migliorarti ma non ci riesci? Se hai già sudato sette camice, se hai già provato qualsiasi corso e percorso forse c’è qualcosa che ti blocca, forse sei tu il tuo stesso limite! Lo so sembrano tante frasi fatte ma posso assicurarti che spesso siamo proprio noi a limitarci.
E lo facciamo con l’antica arte dell’essere “duri e cattivi” così come ci hanno insegnato anni di letteratura, di film e narrazioni sull’ uomo “che non deve chiedere mai”, cosa che appartiene ovviamente anche alla “donna”.
Stappiamo insieme questo “collo di bottiglia”, buon ascolto:
Chi ti tratta male?
Ti sei mai davvero fermato a pensare a come tendi a trattare te stesso? Questa è una domanda molto particolare perché implica alcune cose: la prima è il fatto di giudicarci riguardo le nostre azioni e la seconda è che vi sia una parte di noi che fa da giudice.
Negli ultimi mesi di pubblicazione, un po’ sotto traccia ed un po’ esplicitamente ci siamo occupati degli effetti del trattarci poco “dignitosamente” e abbiamo visto che tale atteggiamento attiva dentro di noi i circuiti della minaccia privandoci delle nostre risorse interiori. Insomma non si tratta del semplice “vogliamoci bene”.
Perché tendiamo a trattarci male? La risposta più plausibile è che crediamo sia utile, sia necessario per capire cosa fare e cosa non fare, è una sorta di sistema di feedback di auto regolazione. Si tratta di un tentativo di regolazione che, dal punto di vista dell’apprendimento, potremmo vedere come una punizione auto inflitta.
E come sanno gli esperti dei processi di apprendimento punire non è il modo migliore di insegnare qualcosa, anzi! Ed ecco il nostro “collo di bottiglia” che si palesa, mi piace come analogia perché senza rendercene conto punirci funziona proprio come una sorta di strozzatura delle nostre risorse interiori.
Come ti ho anticipato questa puntata è molto simile alla precedente, quella sulla “resistenza”, solo che li era rivolta al dolore e alla sofferenza, qui è invece rivolta alla capacità o meno di poter accedere al nostro potenziale. Quando resistiamo ciò che stiamo facendo non è solo fuggire al dolore e quindi non guardare l’oscurità ma è anche un modo per non vedere “la luce”.
Lo sappiamo instintivamente
Che sia meglio utilizzare un approccio gentile invece che punitivo lo capiamo bene a livello intuitivo, cioè non ha bisogno di complesse evidenze o spiegazioni, lo sappiamo “naturalmente”. Ne parliamo da anni e sicuramente a qualcuno sarà venuto in mente il nostro “circuito dell’attenzione sostenuta“.
Dove è evidente che peggio ci trattiamo e peggio funzioniamo, ma lo sappiamo anche quando spostiamo la prospettiva da noi stessi agli altri. Lo so sembra assurdo ma siamo molto più “cattivi” nei nostri confronti che con gli altri. Non tutti e non sempre, ma quando le persone si fermano per qualche istante si rendono facilmente conto di possedere una certa durezza con se stessi.
Tuttavia non tutti se ne accorgono e molti amano pensare di essere “giusti” e non “cattivi”, queste persone sono quelle che giudicano tutto in modo duro e negativo. Sono quelle che, per usare un termine un po’ abusato in psicologia: proiettano all’esterno ciò che hanno dentro. In altre parole accusano gli altri talmente ferocemente da non rendersi conto di usare la stessa identica modalità con se stessi.
Il primo passo per migliorarci è sempre lo stesso: conoscere meglio noi stessi. Non voglio convincerti di avere questo stile di comunicazione poco carino con te stesso, ma semplicemente aumentare la tua consapevolezza su un atteggiamento mentale dilagante che molti non si rendono conto di possedere. Per fortuna non è uno stile fisso e generalizzato.
Esistono persone naturalmente compassionevoli con se stesse?
Sicuramente esistono persone più compassionevoli di altre, persone che hanno appreso che trattarsi duramente, sempre e comunque, non è una buona strategia. Tuttavia non è la norma, perché la gente fino a quando non ha problemi importanti con questo atteggiamento non se ne rende conto e spesso invece che essere realmente accoglienti diventano giustificanti.
Immagina un alcolista che invece di essere gentile e attraverso questo atteggiamento riconoscere la propria vulnerabilità e chiedere aiuto, decida di essere gentile perché: “tanto non ne uscirà mai, visto che tutta la sua famiglia è da sempre così… (oppure) perché il mondo fa schifo è l’unico modo per sopravvivere è bere” ecc.
Questa non è “self-kindness” questa è “auto-presa-per-il-culo”! Un modo per giustificare le nostre azioni, e secondo te siamo più bravi ad essere realmente consapevoli e gentili o siamo più bravi a cercare spiegazioni e giustificazioni ai nostri comportamenti? Esatto, probabilmente hai risposto correttamente perché tutti conosciamo questi meccanismi anche se non ci siamo mai fermati ad osservarli da vicino.
La risposta alla domanda se esistano persone naturalmente compassionevoli è no, magari esistono dei tratti legati a questo atteggiamento che potremmo trovare ma in linea di massima si tratta di un mindset che va coltivato, anche perché quando sei bello, tranquillo e sereno non ti tratti male… e non solo lo fai anche quando:
Sei molto competente! In altre parole se conosci molto bene un certo ambito e ti senti emotivamente sereno tendi a giudicarti meglio. Il che non significa che tu stia li a dirti “quanto sei bello e bravo” anche se non lo sei, ma se sei molto competente riconoscerai “più oggettivamente” i tuoi errori e saprai come aggiustare il tiro senza punirti eccessivamente.
La competenza
Essere competenti in un determinato ambito dovrebbe portare le persone ad essere maggiormente gentili con se stesse? In linea di massima si, ma chiaramente ci sono anche persone che, essendo molto brillanti, riescono nonostante feroci auto-critiche. Sono persone che però pagano a caro prezzo il loro essere zelanti, sono quelle che pensano faccia bene.
Credono sia corretto essere molto dure con se stesse proprio perché sono molto brave e fanno uno strano ragionamento che suona più o meno così: “io sono bravo perché sono duro con me stesso e con gli altri”. Ma non è vero! Le persone brave sono tali percché competenti non perché sono dure con se stesse.
E le competenze, quelle migliori, non si apprendono perché costretti da un giudice interiore inflessibile, ma perché amiamo quell’ambito. Capisci è come se fossero due forze opposte: da un lato abbiamo la dura legge dell’auto-valutazione spietata e dall’altra abbiamo l’amore per le cose. Lo so che non tutto ciò che dobbiamo fare è amorevole ma c’è “modo e modo”.
Quando sei appassionato di qualche cosa ne diventi anche competente, questo non accade sempre, alcune persone diventano competenti in ambiti che non amano moltissimo. Per farlo però non devono essere “più dure” anzi dovrebbero fare esattamente il contrario, cercando di capire che quel sacrificio ha un senso nel loro mondo.
Altrimenti quelle competenze diventano una tortura e prima o poi questo inficerà le loro performance. In generale quando conosci davvero un certo ambito sei più morbido con gli errori che commetti, certo non sempre e non con tutti gli errori ma se sei davvero esperto non puoi fare a meno di sapere che determinati sbagli sono fisiologici e non ti punirai eccessivamente.
Sono stato per anni un nazi grammar
Come sicuramente saprai ci sono persone sul web che vengono definite in modo poco lusinghiero: nazi grammar per intendere che sono inflessibili sugli errori ortografici nel web. In parte è un bel modo per aiutare le persone a comprendere che tipo di errori fanno, ma dall’altra parte è spesso un modo per auto compiacersi più che un tentativo di miglioramento.
Io lo sono stato, non sul web ma dal “vivo”. Quando sono arrivato all’Università di Padova ero fresco di scuole superiori ed ero convinto che la prima cartina tornasole del livello culturale fosse la capacità di esprimersi in un italiano corretto. Non è sbagliato del tutto come pensiero ma continua a seguirmi.
Quando sono arrivato nella mia casa dello studente ho conosciuto un sacco di ragazzi, c’erano persone all’ultimo anno di qualsiasi facoltà, ragazzi più grandi che svolgevano dottrati ecc. Insomma ero nell’olimpo della cultura e mi aspettavo di trovare persone intente a parlare con un linguaggio preciso e corretto.
Ogni volta che qualcuno sbagliava un congiuntivo fremevo dentro di me (in parte mi capita ancora oggi) e pensavo “ma come fa un universitario a fare questi errori, come potrà mai laurearsi?” e devo dirti che mi sbagliavo alla grande. Infatti intorno a me c’erano persone brillanti, che magari avevano parlato per 50% della propria vita in dialetto.
Quando si esprimevano in Italiano tendevano a portare pezzi di dialetto facendo strafalcioni che tutti conosciamo. Stando con loro ho capito che quel modo errato di parlare non rispecchiava per nulla né la loro preparazione accademica e né la loro intelligenza. Ma per apprezzare ciò ho dovuto io stesso comprendere tali differenze!
Scrivere
Tutte le persone con un livello di educazione superiore scrivono molto: scrivono per prendere appunti, per fare i “temi”, per fare “le tesine”, durante gli esami, ecc. Ma il vero campo si apre quando non scrivi per prendere un voto ma per motivi professionali: io lo faccio da tantissimi anni, ho iniziato con questo blog nell’agosto del 2007.
Ho scritto migliaia di articoli non solo per Psinel ma per riviste e per ogni cosa che trovi prodotta in giro che faccia parte del mio lavoro. Anche le puntate del podcast “sono scritte”, insomma scrivo da moltissimo tempo e non sono certo uno scrittore! Tuttavia quando produco ho capito una cosa molto semplice:
Non devo badare troppo alla ortografia! Se sbaglio una parola mentre “creo un contenuto” torno dopo ad aggiustarla (a volte mi dimentico e resta qui) ma ho capito che è più importante portare avanti il discorso, tenere a mente cosa voglio scrivere piuttosto che cercare di capire se ho scritto in italiano perfetto ciò che volevo comunicare.
Questo non significa che non stia attento alla forma o alla grammatica, ma significa che se mi perdo troppo nella costruzione perfetta del periodo perdo contemporaneamente il senso di ciò che sto scrivendo. Un tempo non ci riuscivo e passavo ore a cercare di formulare al meglio le mie frasi dal punto di vista della grammatica italiana… poi ho capito che non era il mio lavoro.
Il mio lavoro non è darti un esempio di stile ma è comunicare concetti che fanno parte del mondo della psicologia. Ovviamente serve un certo grado di precisione e di correttezza, non sai quante persone mi hanno rotto le scatole per una cosa assurda: nel 2013 Psinel ha subito una sorta di attacco informatico che ha “de formatizzato” i vecchi contenuti appiccicando tutte le parole.
Ancora oggi mi tocca rispondere a commenti del tipo: “mi piaceva ciò che stavo leggendo fino a quando ho iniziato a leggere questo post con tutte le parole appiccicate, non credo di poter apprendere proprio nulla da una persona che non sa scrivere”. Masecondotesescrivocosì è perché non so l’italiano o è un errore informatico? 😉
Continuiamo questa discussione nel nostro Quaderno degli esercizi oggi zeppo di spunti interessanti… come sempre!
A presto
Genna