Da ragazzo scoppiavo a ridere ogni volta che guardando il film “Non ci resta che piangere” sentivo un tizio dire: “Ricordati che devi morire” e un grande Massimo Troisi rispondere: “Aspetta che mo me lo segno”.
Nella puntata di oggi voglio iniziare una triade, un trittico di episodi dedicati ad un tema molto importante, la morte. Se la temi devi ascoltare la puntata se non la temi, devi ascoltarla almeno 2 volte 😉
“Ricorda che devi morire”
Questa frase del divertente film con Benigni e Troisi era una sorta di parodia del “memento mori” che come abbiamo visto (o meglio sentito) stava più a significare: “Chi si loda si imbroda” che in quel periodo, “imbrodarsi” per un condottiero significava la morte.
Ma a guardare bene questo termine veniva utilizzato anche per ricordare che ogni istante è unico, che la vita è impermanente, che tutto scorre. Insomma tante tradizioni sembrano dirci la stessa cosa: tieni a mente che ogni istante è unico.
E non solo, ogni tradizione sembra dirci anche: stai in guardia, perché tenderai a dimenticare questo particolare credendo in questo modo di celebrare la vita, ma è sbagliato! Per celebrare la vita è necessario conoscere anche la morte.
Come un pittore che desideri creare effetti di luce deve necessariamente concentrarsi anche sulle ombre, allo stesso modo per godere della vita dobbiamo concentrarci anche sulla sua fine. Questo sembra un fenomeno quasi paradossale ma in realtà lo viviamo ogni giorno.
Pensaci: immagina di avere una scatola piena di cioccolatini o di averne uno solo, quale cercherai di godere con maggiore intensità? Ovviamente quando ne hai uno solo, e non so se capita anche a te ma a me sembra sempre che l’ultimo sia anche il più buono.
Risorse illimitate e la “legge di Parkinson”
Hai mai sentito parlare dell’effetto Parkinson? No, non è quello della malattia di Parkinson ma è un omonimo che ha scoperto una cosa molto particolare: più risorse hai a disposizione per fare una certa cosa e più tempo ci metterai a farla. Più tempo hai e più tempo ti prendi.
Sembra una legge scritta da un datore di lavoro nazista, ma in realtà tutti l’abbiamo sperimentata: se hai 1 anno per portare a termine un progetto che richiederebbe 2 mesi, tendi a prenderti tutto l’anno e a sprecare un sacco di energie.
Al contrario, se hai 2 mesi giusti è possibile che tu riesca a portare a termine il compito anche in meno tempo. Ora stiamo attenti, non voglio convincerti di questo a livello lavorativo ma semplicemente mostrarti che più tempo hai a disposizione (o credi di avere) e più te la prendi comoda.
E’ una sorta di sopravvalutazione delle proprie capacità organizzative, unite ad una sottovalutazione dello scorrere del tempo. Che è esattamente ciò che facciamo quando pensiamo alla morte, alla fine dei nostri giorni, crediamo che siano lontanissimi e che pensarci sia qualcosa da fare “solo negli ultimi 2 mesi”.
Pensare di avere risorse illimitate non ci conduce solo a questo errore di prospettiva ma anche a godere meno delle singole cose e ad essere meno creativi. Ci sono molti studi che dicono che, se hai meno opzioni e meno risorse tendi ad essere più creativo, della serie: “il bisogno aguzza l’ingegno”.
Consapevolezza
Dunque cosa possiamo fare per migliorare questo effetto? La prima cosa è esserne consapevoli, da quando conosco questo tipo di effetto sulla produttività nel lavoro riesco ad eliminare o per lo meno ad attenuare questa distorsione della prospettiva.
Questo significa che riesco sempre ad evitarlo? No, ma che sicuramente sapere che esiste questa sorta di bias è già un buon modo per stemperarlo, così come abbiamo visto con tutti gli altri bias. I quali sono spesso ineliminabili ma sapere che ci sono può aiutarci tantissimo.
In particolare sapere che abbiamo tale prospettiva distorta può aiutarci nelle scelte importanti, quando ad esempio dobbiamo decidere se acquistare o meno una casa o un’auto. Ti sembrerà assurdo ma il tuo rapporto con la morte incide anche su scelte del genere.
Perché se non pensi minimamente a quell’evenienza acquisterai un’auto sportiva in contati e senza alcuna protezione come optional (sto ovviamente esagerando) ma non vorrei essere frainteso, perché sembra quasi che si tratti di valori “da anziani”.
No, come ti dicevo nella puntata è come camminare lungo un asse di legno a 5 metri da terra. Se cadiamo ci facciamo male, parecchio male ma il modo migliore per restare in equilibrio è quello di guardare avanti, cioè di non stare troppo a pensare a cosa ci accadrà cadendo.
Questo ovviamente non significa dimenticarsi che ci sono 5 metri di salto, anche perché una cosa è cadere come se scivolassimo da una normale asse d’equilibrio (a pochi cm da terra) ed un’altra è prepararsi a cascare da 5 metri. Dobbiamo saperlo ma senza guardare in basso!
Ombra
Se ami la psicologia o segui da diverso tempo PsiNel non ti sarà di certo sfuggita la somiglianza con il concetto di “ombra di Jung”, cioè l’idea che più cerchiamo di illuminare qualcosa e più mettiamo in ombra qualcosa d’altro.
In questo periodo dove siamo tutti invasati di anti-aging, del vivere sani e forti, del vivere il più a lungo possibile ci dimentichiamo dell’altra faccia della medaglia: sofferenza, malattia e morte. Lo so non è un argomento leggero da trattare ma sappi che se solo leggendo quelle parole strai tremando è proprio perchè hai bisogno di ascoltarle.
Perché c’è un modo molto semplice per descrivere il meccanismo “dell’ombra” in azione e per farlo mi serve un tuo ricordo di infanzia: hai mai spinto una palla sott’acqua con forza? Lo hai mai fatto? Magari sei al mare o in piscina e puoi provare tu stesso. Cosa succede?
Con più forza spingi un pallone sott’acqua, oggetto pieno di aria e che di conseguenza tende ad andare verso la superficie e con maggiore forza verrà fuori. Come una sorta di rimbalzo, dove più spingi verso il basse e più forza avrà per emergere dall’acqua con violenza.
Ecco i concetti difficili da gestire nella nostra mente funzionano più o meno nello stesso modo. Più cerchiamo di spingerli lontano, cerchiamo di seppellirli, di evitarli e più cercheranno di emergere con prepotenza.
La tanatofobia
Questo episodio non è dedicato alla risoluzione di un problema clinico come la tanatofobia, ma alla naturale tendenza attuale a rifiutare e rifuggire i temi che hanno a che fare con la morte. La cosa potrà sembrare stana, perché anche il “tanatofobico” ne avrebbe bisogno ma spesso (nel suo caso) la mera esposizione non basta.
Se ti stai chiedendo se sei “tanatofobico”, cioè se hai una profonda ed irrealistica paura della morte che ti blocca e ti tortura, la risposta è quasi sicuramente NO! Poche persone con questo problema sarebbero riuscite ad ascoltare l’episodio e leggere queste parole.
Se per caso pensi di esserlo ma ci sei riuscito è perché forse, in fondo in fondo sei molto più coraggioso di quanto pensi di essere. In realtà siamo tutti più coraggiosi quando andiamo ad affrontare di petto tematiche come queste.
No, non siamo dei Rambo della consapevolezza, in realtà noi dovremmo parlare molto più spesso dalla caducità della vita con l’intento di renderla più sacra, nel senso di santificarla senza alcun vezzo religioso. Ma semplicemente perché se ogni momento è unico, allora impariamo a godercelo per davvero.
Dunque se non sei ancora sicuro e ti stai chiedendo quale sia la differenza tra avere paura della morte ed avere invece una fobia, la risposta sta nel dolore psicologico e nella sua reazione ad esso. Se questa situazione ti blocca, ti impedisce di fare ciò che vuoi fare ed influenza significativamente la tua vita, allora è quasi di certo una fobia.
Al contrario: se ti spaventa, lo rifuggi ma riesci a sopportarlo quando è necessario, allora si tratta di una semplice e fisiologica paura. Nel primo caso il mio consiglio è quello di contattare un mio collega, gli esercizi di oggi possono farti bene ma sappi che sono disegnati per chi ha paura non per chi è terrorizzato!
Le tradizioni
Il fatto che ogni tradizione e ogni cultura abbia i propri rituali funebri ed il proprio modo di “pensare alla morte” dovrebbe farci ragionare. Per prima cosa ci sono migliaia di pagine che descrivono questi riti e le loro somiglianze nel campo della antropologia culturale, non dico nulla di nuovo per chi si occupa di quei temi.
Come seconda cosa dobbiamo come sempre ricordare che molti dei rituali sono sopravvisuti per motivi anche pragmatici. Alcune ricerche hanno cercato di dimostrare che una funzione religiosa svolta sia quando qualcuno scompare (il funerale) e sia nei giorni e mesi successivi, possa essere utile.
Se ci pensi, fare il funerale e ripetere quelle funzioni un giorno dopo, una settimana dopo e mesi dopo, è un po’ come “tirare la palla fuori dall’acqua per evitare che la pressione accresca”. E’ un modo per affrontare certi argomenti in un luogo sicuro con azioni conosciute e prevedibili.
In psicoterapia potremmo vedere queste azioni come delle specie di “esposizioni agli stimoli emotigeni”, cioè entrare in contatto con ciò che ci turba per allenarci a sopportarlo prima e accoglierlo poi. E’ una trasmutazione alchemica, per usare altre metafore di funzionamento.
Insomma, come vedremo nelle prossime puntate dedicate a questo tema (ti ricordo ne mancano ancora 2) gli aspetti di tradizione e di religione non sono da scartare, anzi, sono da seguire (per chi crede) o da modellare da un certo punto di vista.
Approfondiamo nel nostro Qde nel video che come sempre esce puoi trovare qui sotto:
A presto
Genna
Ps. Nell’immagine qui in alto vedi una tipica tradizione messicana sulla morte che negli ultimi anni è diventata molto nota grazie ad un cartone animato. In quella tradizione si pensa che le anime dei cari “muoiano” davvero solo quando le dimentichiamo. Qualcosa di molto simile al concetto di esposizione, se ci pensi è un ottimo stratagemma per esporsi al nostro “elefante nella stanza”.