Sopprimere i pensieri negativi fa davvero male? Se ponessi questa domanda a conoscenti e colleghi scommetto che la maggior parte di loro risponderebbe in modo affermativo. In fondo ormai sappiamo che molti problemi derivano dall’evitare certe cose e tra queste cose, ci sono anche i nostri pensieri. Ma la faccenda in realtà è molto più profonda di così, tutto nasce da un recente studio che sembra proprio mettere in discussione questo caposaldo della psicologia.
La Rimozione
Come sanno molti le teorie di Freud sul funzionamento della mente non sono sorte dal nulla ma da una serie di correnti filosofiche che l’hanno preceduto. Tuttavia il nostro Sigmund non ha solo cavalcato il proprio tempo ma lo ha anche sconvolto con teorie pionieristiche sulla cura della psiche, una delle più conosciute è il meccanismo di difesa della rimozione. Secondo Freud i nostri problemi (nevrosi e psicosi) deriverebbero da conflitti intrapischici causati da ricordi emotivamente troppo carichi da essere ricordati e per tanto rimossi.
Freud lo spiega molto bene con un’analogia, ci racconta di un professore che ad un certo punto della propria lezione nota alcuni studenti indisciplinati; al che lì invita ad uscire dall’aula. Ma questi, invece di di starsene buoni continuano a fare casino anche fuori e bussano perché vogliono rientrare. Ecco i disturbatori sarebbero gli eventi traumatici della nostra infanzia, non traumatici nel senso comune ma perché essendo piccolo il bambino ed indifeso vive in modo nettamente più sensibile gli eventi. Un ritardo nella poppata potrebbe essere un evento rimosso per mantenere l’investimento libidico (attenzione affettiva nella terminologia freudiana) sulla madre saldo.
Freud non si limita ad ipotizzare questi aspetti dal nulla ma dai suoi casi clinici, vede i propri pazienti rinascere subito dopo aver ritrovato un ricordo negativo del passato. Come ad esempio aver visto un cagnolino che beveva in un bicchiere ed aver provato talmente tanto ribrezzo da generalizzare quella sensazione al cibo e altre cose. Insomma qualcosa di molto lineare: succede un evento negativo e questo ha una influenza sul momento presente. Erano cose che già i neurologi dell’epoca si raccontavano ma non volevano perdere di vista il tema fisico e biologico della malattia (in un momento molto delicato dello sviluppo scientifico delle prassi mediche).
Il tema del rimosso poi si è diluito nel tempo dato che la gente può subire traumi, esserne anche molto consapevole, e allo stesso tempo però subirne tutti gli effetti negativi. E’ proprio il punto di vista traumatologico ed etiopatogenetico che sta alla base delle scoperte di Freud ed in parte anche del modo con il quale interpretiamo oggi molte problematiche psicologiche. Tuttavia sappiamo da tempo che la visione del rimosso messa in modo troppo ortodosso non ha portato a grandi risultati, per l’appunto come si accennava le persone possono essere anche consapevoli dei propri traumi, tuttavia non riuscire lo stesso a farvi fronte.
Che lo si voglia o meno il pensiero freudiano è entrato pienamente nella nostra cultura perché in parte già ne seguiva la strada, come ad esempio il tema del peccato e della sua redenzione. Lo psicoanalista non solo come oculato archeologo che ricostruisce il passato dagli strati del tempo ma anche come “esorcista di fantasmi interiori” che attraverso la consapevolezza li scioglie. Ecco tutto questo pensiero è dentro di noi in un qualche modo, il quale ha portato molte persone ad avere come una sorta di timore nei confronti della propria interiorità. In molti casi non ha portato ad una curiosa esplorazione ma ad un tenativo di capire per tenere a bada.
Non sopprimere i pensieri
Come abbiamo visto nella nostra puntata dedicata all’inconscio (se ti piacciono questi temi devi ascoltarla) il fatto stesso di vedere il nostro mondo interiore come pericoloso e zeppo di melma non ci ha fatto così bene! Anzi, moltissima parte del lavoro dello psicoterapeuta è aiutare il paziente a ristabilire un collegamento sano e amorevole con la propria interiorità. Temere certi pensieri, certe emozioni può portare a quello che oggi viene definito “evitamento esperienziale” che può portare anche a gravi conseguenze. Può far scatenare ansia, attacchi di panico, depressione ecc.
Anche per questo l’idea di sopprimere i pensieri non solo non ci sta con le teorie freudiane ma neanche con quelle moderne. Ma allora perché i risultati di questo articolo sembrano dire il contrario? Se hai ascoltato la puntata hai sentito le mie argomentazioni sono diverse ma questo tema è ancora più complesso, nello studio i ricercatori hanno cercato intenzionalmente di elicitare (tirare fuori) delle risposte negative, facendo ripensare ai soggetti eventi del passato stressanti e di associarli ad una parola. Per poi allenarli a tirare fuori questa associazione più volte per poi sopprimerla.
Mentre invece ad altri soggetti hanno fatto semplicemente richiamare gli eventi negativi senza il compito della soppressione. A distanza di tempo il primo gruppo è risultato essere più sereno e soprattutto non essere vittima di ritorni di quei pensieri, cosa che invece è successa con maggiore frequenza nel secondo gruppo. Ho letto tutto il paper ma devo ammettere di non aver capito alcuni passaggi sulla metodologia, per quanto ho capito a me sembra che i ricercatori abbiano involontariamente esposto i soggetti a quelli stimoli più volte probabilmente desensibilizzandoli.
Come abbiamo visto nell’episodio 489 una delle metodiche più antiche, studiate e funzionanti per gestire il nostro mondo interiore è quello dell’esposizione. Ho paura dei cani e mi ci espongo, in vari modi, attraverso immagini, andando in un canile ecc. e questo esercizio ci aiuta a fare pace con i nostri timori. Come abbiamo visto la nostra pratica di meditazione di consapevolezza è anche un esercizio di esposizione al proprio mondo interiore. Insomma è un meccanismo ben studiato e penso che se facessi fare una cosa del genere ad una persona ne potrebbe trarre beneficio.
Cioè se ti chiedessi di pensare ad un evento negativo del tuo passato, di valutarlo da 0 a 10 (dove 0 significa per niente e 10 tantissimo) e ti chiedessi di dargli un nome, starei facendo qualcosa di molto simile agli esercizi espositivi moderni. Anche quelli di labeling, come questo esercizio del timbro della ACT di cui abbiamo parlato 10 anni fa in questa puntata. Il semplice fatto di dare un nome non funge solo da stimolo per richiamare il ricordo ma anche come tecnica di defusione, cioè ci aiuta a fare qualche passo indietro rispetto all’esperienza e alle sensazioni che emergono.
La mente paradossale
Così far ripetere più volte questo esercizio di leggere la parola stimolo, farsi venire in mente quell’evento e poi scacciarlo potrebbe per assurdo aver aiutato a non pensarci nei giorni consecutivi. Molti di voi conoscono le tecniche di Giorgio Nardone di cui parliamo da sempre, la più famosa orami su moltissimi manuali internazionali si chiama peggiore fantasia (con tutte le sue varianti su come peggiorare ecc.), il nome è già tutto un programma ma indica esattamente cosa bisogna fare. Mettersi lì e fare la peggiore fantasia, cioè cercare di far emergere i nostri fantasmi (spoiler non farlo senza motivo, segui una guida).
Ecco quell’esercizio davvero molto potente mette in luce che a volte, proprio i tentativi ripetuti di far emergere cose negativi sortisce l’effetto opposto! Ora è possibile che anche quella tecnica si avvalga della esposizione ma i suoi autori propendono per una visione diversa (anche se possibilmente complementare) quella di un effetto paradosso. Dato che più provo a mettere via i pensieri negativi e più tornano sortendo un effetto paradossale, si prescrive il sintomo con una manovra altrettanto paradossale. Perché ti ho raccontato tutta questa cosa? Perché i soggetti dell’esperimento vengono testati dopo giorni da questo evento.
Lo so probabilmente ti sto confondendo, andiamo dritti per dritti: quante volte ti è successo di avere un pensiero negativo improvviso, magari mentre stavi facendo tutt’altro e poi di colpo qualcosa ti ha distratto e non ci hai più pensato? Certo non sto parlando di flashback traumatici ma di semplici cose che possono emergere, del tipo: “cavolo l’altro giorno ho urlato a Giorgio, mi sa che devo chiedergli scusa ma non è ho voglia” sentire un pizzico di rimorso e poi lasciarlo andare? In questo episodio abbiamo visto che mettere da parte i pensieri, anche se ci sembrano ingombranti ma facendolo in modo consapevole può avere effetti sorprendenti.
La nostra mente è davvero capace di prendersi cura delle proprie elucubrazioni proprio quando non ci combattiamo e non cerchiamo di comprenderle distraendoci dalle cose importanti della nostra vita. Emerge quel pensiero di Giorgio ma stai lavorando, lo metti un attimo da parte e pensi “se ritorna ci penserò o magari ci penso più tardi”, la maggior parte delle volte smetti di pensarci. Come vedi questa tecnica, che si usa per davvero e funziona molto bene, è talmente semplice che viene spesso denigrata sia come un modo di “mettere la testa sotto la sabbia” e sia come un modo pericoloso di prendersi cura della propria mente.
Ma in realtà per farla funziona serve consapevolezza, fiducia nel processo di auto-regolazione del nostro organismo e anche un senso di agentività nei propri confronti: “ci penso dopo e nel caso userò questo esercizio di Genna ma ora sto leggendo questo post”. Credo che la sensazione data ai soggetti dello studio di riuscire a mettere da parte le associazioni ripetutamente abbia potuto creare un’effetto di aumento della sensazione di controllo sulla propria mente, altro aspetto positivo. Quindi in definitiva è bene sopprimere i pensieri negativi? Tecnicamente no ma se per sopprimere intendiamo questo processo allora si…
Sopprimere e un consiglio per i ricercatori
Se per sopprimere intendiamo il riconoscere un pensiero negativo, attribuirgli un’etichetta e metterlo da parte allora direi proprio di sì. Il che assomiglia molto alla pratica meditativa, nella quale quando emerge un pensiero negativo non lo scacciamo ma lo riconosciamo, lo vediamo come ciò che è “un ricordo negativo” e lo mettiamo da parte per tornare sul nostro respiro. So che nello studio non è stato fatto questo ma non siamo troppo distanti dalle moderne tecniche di gestione dei pensieri negativi, le quali possono anche invitarvi a distrarvi, a dirvi “stop”, a schioccare le dita e pensare ad altro ecc.
Quindi si se sopprimi direttamente i tuoi pensieri è molto probabile che questi torneranno, soprattutto se lo fai senza consapevolezza e cercando di non pensarci mai. Questo è forse stato un errore dei ricercatori, i quali avrebbero potuto chiedere ai soggetti di continuare a reprimere il pensiero, cosa che probabilmente avrebbe peggiorato le cose. Ma in realtà non lo so con precisione perché come ti dicevo non ho capito benissimo la metodologia pur avendo letto il paper completo, nel caso lo facessi tu e avessi voglia di dirmi cose ne pensi ne sarei molto felice.
La cosa che mi piace di questo studio è che rappresenta un tentativo di mettere in discussione convinzioni senza fondamento diretto di una psicologia antica, che però molte volte conserva ancora la propria forza, perché noi siamo gli stessi esseri umani da sempre. Detto questo la ricerca sta facendo davvero passi in avanti pazzeschi, i temi che hanno sollevato Hayes, Hoffman e altri con il loro Oltre il DSM e la loro enorme meta-analisi soprannominata “la morte nera” con 55000 paper esaminati ci sta mostrando un modo nuovo non solo di pensare alle diagnosi ma anche alle prassi migliori da seguire.
Insomma per tutti gli appassionati di psicologia nei prossimi anni ne vedremo davvero delle belle, se in più ci mettere gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale…
Alla prossima
Genns