Ancora con questa “intelligenza emotiva”? Più o meno perché oggi ne parliamo in un modo completamente diverso, attraverso “la tecnologia”.

Immagina se il tuo cellulare potesse prevedere il tasso di divertimento all’interno di un locale semplicemente facendo una scansione delle persone dalla porta d’ingresso, non sarebbe fantastico? Forse…

Nella puntata di oggi scoprirai perché l’intelligenza emotiva digitale può diventare un’espansione delle tue abilità e troverai anche alcuni consigli su come evitare che si trasformi in un ostacolo…

Un tema divisivo

Il tema che tratto oggi è ancora una volta molto divisivo, ci sono persone che come me ripongono speranze nella tecnologia (non in modo cieco e non in modo ingenuo) e persone che al contrario vorrebbero tornare al periodo “pre-digitale”.

Parliamo sempre più spesso di questi temi perché per quanto possa sembrare strano, hanno molto a che fare con la psicologia. Chiunque si occupi di “esseri umani” a qualsiasi livello non può evitare di fare i conti con l’avanzare delle tecnologie digitali.

E non sto facendo riferimento a nessuna fazione (pro o contro) ma semplicemente a ciò che sta capitando intorno a noi da diversi decenni. Qualcosa che è stato espresso molto bene nel libro di Baricco “The Game”, ci abbiamo fatto una live (la 10).

Uno dei temi più forti della psicologia e della crescita personale degli ultimi anni è proprio l’intelligenza emotiva, se mi segui ti uscirà dalle orecchie, soprattutto in questo periodo. Ma cosa accadrebbe se tale abilità non servisse più a nulla?

Se un giorno il tuo smartwatch sarà più bravo di te nel rilevare l’umore di chi ti sta accanto, questo peggiorerà le tue abilità psicologiche o le peggiorerà? Le risposte sembrano scontate ma non le sono affatto!

Il feedback

Noi esseri umani siamo bravissimi ad apprendere ogni volta che abbiamo un feedback chiaro, lo abbiamo visto parlando della pratica deliberata qualche tempo fa.

Come hai sentito (spero che tu abbia ascoltato la puntata) nell’esempio del medico, se questo si avvale delle proprie doti diagnostiche e poi utilizza gli strumenti di imaging (ecografia, risonanza magnetica ecc.) e resta aperto, non può che migliorare.

E’ come un videogame, anche se non capisci tutto quello che devi fare nel suo complesso, a furia di provare e riprovare apprendi sempre meglio come muoverti. E lo fai attraverso i continui feedback che ricevi, la cosa interessante è che accade in maniera inconsapevole.

La tecnologia sarà in grado di rimandarci feedback pertinenti derivati da analisi complessissime di dati che noi non potremmo mai prendere in esame. Esattamente come nel video gioco e non so se ne hai mai visto uno moderno, sono incasinatissimi 😉

Chi gioca molto si accorge di diventare sempre più bravo, come fa? Il cervello diventa sempre più abile nel simulare cosa sta per accadere, lo fa proprio basandosi sui feedback (dati) precedenti.

Artefatti e cervello

Esistono molte ipotesi che legano lo sviluppo del nostro cervello agli strumenti che abbiamo creato. Sembra quasi assurdo pensare che ciò che abbiamo creato noi stessi, come il fuoco, il ferro ecc. possa aver influito sulla nostra evoluzione a livello biologico.

Eppure se ci pensiamo bene oggi tutti sanno dell’esistenza della nota neuroplasticità e di quanto i nostri cervelli siano differenti in base a cosa gli facciamo fare per più tempo. Il cervello dei musicisti è diverso da quello dei tassisti che è diverso da quello degli psicologi (forse il più strano di tutti).

E grazie alla genetica e alla epigenetica sappiamo che tali modifiche si trasmettono di generazione in generazione. Quindi? Non mi sembra così assurdo immaginare che il cervello si sia plasmato in base all’ambiente in cui è cresciuto.

Se cresci in mezzo ad oggetti digitali il tuo cervello è diverso da quello di chi, come me, è cresciuto in un altro mondo. Per fortuna abbiamo detto che è plastico, e onestamente ho iniziato così presto a giocare con queste cose che non posso fare finta di non esserne stato influenzato.

Ora è facile fare i catastrofisti ed è giusto controllare lo sviluppo della tecnologia, tuttavia come probabilmente sai io sono ottimista su questo fronte, sono convinto che la tecnologia “usata bene” ci abbia sempre aiutato.

Operazioni in realtà aumentata

E’ di qualche giorno fa la notizia della prima operazione chirurgica fatta in realtà aumentata (RA), qui da noi a Pisa all’ospedale S. Orsola. Il visore in RA ha consentito al chirurgo di evitare l’utilizzo di un monitor esterno, ma non solo.

Il visore consentiva di vedere informazioni in tempo reale, posizioni spaziali precise dei movimenti, insomma un super vantaggio per la chirurgia che diventa sempre meno invasiva. Ora però passiamo al nostro dilemma, il medico perderà abilità utilizzando la AR?

Per quanto mi riguarda no! Certo dipende anche dal discorso che abbiamo fatto in puntata ma pensaci un istante: immagina di avere degli occhiali che ti consentano di capire meglio cosa stai facendo, non migliorerebbero le tue abilità?

Senza contare che gli studenti potrebbero usare dei simulatori in grado di ricreare operazioni vere e proprie, esattamente come i simulatori di volo che riproducono talmente bene la realtà da essere considerate “ore ufficiali di addestramento al volo” (o qualcosa del genere).

Come vedi sono troppo di parte, per quanto mi riguarda se un tempo eri bravo ad usare il bisturi eri un bravo chirurgo, se il bisturi cambia e migliora diventando digitale, è bene diventare bravi ad usare i nuovi strumenti.

La deficienza artificiale

Mi piace scherzosamente chiamare a volte la Intelligenza artificiale come “deficienza artificiale” soprattutto dopo aver ascoltato molti interventi del prof. Luciano Floridi che tende a disinnescare i timori sulla possibilità della singolarità. (Quando le macchine diventano auto coscienti e ci fanno fuori tutti).

In effetti oggi tu hai già in tasca una super AI, il tuo cellulare. In un qualche modo anche se fai una semplice ricerca su google ti stai già utilizzando una forma di intelligenza artificiale. Eppure questa per fare il proprio dovere non deve essere intelligente.

Sei tu che devi fare la ricerca, e più la qualità dei dati che offri al motore di ricerca è alta (cioè metti dentro parole chiave pertinenti) e più la qualità della risposta che ricevi è alta. In altre parole la macchina fa l’azione di cercare, ma sei tu che devi agire con intelligenza.

Lei si metterà a cercare con il massimo delle sue capacità tutti i termini che ci metti dentro, ma se gli dai termini sbagliati farà una ricerca sbagliata. Qualcosa che noi umani bolleremo come “stupida” e non intelligente.

Questo distacco tra “intelligenza e agentività” (vedi Floridi) è da un lato rassicurante ma dall’altro non lo è per niente. Perché se per caso dici al computer che controlla i famosi missili: “distruggi tutto” questo parte senza alcuna “intelligenza” e porta a termine il proprio dovere.

Intelligenza emotiva

Come vedi ciò che manca alla macchina sembra essere proprio una sorta di “intelligenza emotiva” per poter diventare realmente umana. Una macchina dotata di empatia che iniziasse il conteggi alla rovescia per distruggere il mondo perché qualcuno ha inserito i dati sbagliati…

…probabilmente scansionerebbe le emozioni delle persone e capirebbe che non è una cosa carina far scattare un disastro nucleare. Se fosse realmente empatica questa IA, non lo farebbe troppo tardi, cioè una volta sganciate le bombe ma prima.

Mettendosi nei panni delle persone quando riceve il comando (stupido) “distruggi tutto” farebbe prima delle prove per capire cosa s’intende “distruggere e tutto”, visto che sono azioni che potrebbero ledere non solo la vita ma anche l’esistenza della IA stessa.

ERGO saremmo sempre noi a fare la cosa difficile: scegliere, prendere decisioni sulla base dei dati che le macchine ci restituiranno. E noi, interagendo con tale abilità di analisi della realtà forse impareremmo ad essere anche migliori.

Un po’ come il campione coreano di Go che viene battuto da AlphaGo, t’invito ancora una volta a guardare il documentario su Netflix perché credo che le sue reazioni spieghino molto bene questa intricata faccenda.

Sono cose “complesse” ma non difficili… se vogliamo crescere dobbiamo amare la complessità!

Le faccende complesse

Quando le cose sono così complesse è raro che esista uno schieramento giusto e preciso da scegliere, una cosa però è certa: pensare di aver capito tutto riferendosi a convinzioni, opinioni per sentito dire, non è mai la scelta adatta.

E quando cerco di attivare un pensiero complesso, cercando di includere tutte le variabili che possono portarci ad una rovina nei confronti di queste innovazioni, non riesco a pensare che sia sbagliato portare aventi progetti del genere.

Qui entriamo in un discorso gigantesco che mette apparentemente da parte la “conoscenza” (valore attribuito agli ottimisti della scienza come me) ed entra in campo l’etica, il chiederci se sia giusto o sbagliato farlo.

Da un punto di vista razionale è più che giusto, lo dimostrano i numeri ma dal punto di vista etico le cose non stanno così. Tuttavia le persone confondono l’etica con i valori morali religiosi e con le proprie convinzioni personali.

Che si, in un qualche modo fanno parte dell’etica, ma per quanto mi riguarda io sposo in pieno l’idea di etica di Spinoza, il quale sosteneva che è anti-etico il non conoscere, e al contrario la conoscenza è sempre etica. Poi da qui dobbiamo parlare dell’applicazione della conoscenza.

Continuiamo questo discorso nel Quaderno degli esercizi di oggi…

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.