Conosci già la risposta alla domanda del titolo della puntata 302 del podcast? Forse si, perché l’ho pubblicata ieri sera e perché so che i miei lettori sono più intelligenti della media 😉

In realtà si tratta di una piccola provocazione per parlare ancora di meditazione e in particolare di un tema scottante: “qual è la meditazione più importante da fare”?

Vediamo insieme… buon ascolto:

Qui e ora

Banale da dire ma la capacità di essere presente nella tua vita quotidiana, qui e ora, è sicuramente la più importante da coltivare. Si, proprio adesso mentre mi stai leggendo.

Oppure tra poco quando andrai a lavoro, in palestra, a cena o in qualsiasi luogo tu vada. E’ poco romantico affermarlo ma per quanto mi riguarda la meditazione è uno strumento, un metodo.

E come tutti gli strumenti e i metodi servono come via per migliorare in un qualche ambito, ma tale “ambito” non è l’esercizio stesso. Ti faccio un esempio: le scale che si fanno al pianoforte (o in qualsiasi altro strumento).

Sono rudimenti essenziali che raramente finiscono dentro un brano. Si sono sempre presenti ad un qualche livello, ma se fai il musicista non è che in concerto o in saletta ti metti a fare le scale.

Lo fai solo come esercizio, come metodo per suonare meglio. E la “musica” per la nostra meditazione è la VITA la capacità di essere più presenti alla propria vita.

L’intenzione rende tutto più vero

Se sei presente a queste parole, non significa solo che il mio discorso ti coinvolge ma anche (e soprattutto) che hai deciso di leggere con “attenzione” e non in modo distratto.

Non sono un grande scrittore per cui sono sicuro che se mi stai seguendo è perché hai deciso intenzionalmente di portare attenzione a questa sequenza di lettere.

Ed è come se mangiando insieme, decidessi di portare particolare attenzione ai sapori, ai profumi della cucina. Qualcosa che facciamo raramente se non quando mangiamo al ristorante.

Eppure l’esperienza, come sa chiunque abbia mai provato ad assaporare profondamente un sapore, è completamente diversa. Una cosa è mangiare concentrandosi sulle interazioni (o peggio sulla tv) ed un’altra è essere presenti.

Decidere intenzionalmente di assaporare quel cibo è simile al decidere di leggere con attenzione queste parole. Questo capita in tutti i contesti della vita, ma per riuscirci dobbiamo allenarci è questa la pratica informale.

Senza intenzionalità non c’è miglioramento

Come ci insegna la teoria della pratica deliberata senza una precisa intenzionalità non otteniamo miglioramenti. E’ per questo che il numero delle 10000 ore è fuorviante perché non conta per quanto tempo lo fai.

Conosco persone convinte di saper cucinare, magari lo fanno tutti i giorni per la propria famiglia da anni, ma senza davvero mai migliorare. Se ti limiti a ripetere gli stessi gesti automaticamente non migliori.

Per poter migliorare serve intenzione, chiederti se per caso non sarebbe meglio mettere l’olio con un pennellino invece che versarlo, stare attento al colorito durante la cottura e assaggiare per pianificare il da farsi.

Tutte cose che richiedono intenzionalità, se lo fai meccanicamente come hai sempre fatto, di certo ti tieni allenato (meglio fare che non fare) ma non migliori. Serve consapevolezza e secondo diversi studi anche riflessione.

Una riflessione “post-azione” che ci aiuti a capire che cosa abbiamo fatto e come lo abbiamo fatto. Anche questa, anche se non appare tale perché ha una forma “intellettuale” può essere considerata una pratica “informale”.

Essere presenti a tutto, anche ai pensieri

Le pratiche di meditazione ci aiutano a diventare presenti a qualsiasi cosa, compresi i nostri pensieri, processo non semplice. Per riuscire ad osservare i tuoi pensieri serve un po’ di pratica formale per ottenere una buona disidentificazione.

Tuttavia lo facciamo sempre ad un qualche livello, infatti è come se esistessero diversi livelli di disidentificazione, e per fortuna non è sempre necessario esserlo completamente per poter godere dei frutti della pratica.

Come dimostrano gli studi clinici di pratiche come la ACT è possibile usare anche solo un pizzico di “defusione” per riuscire a gestire i nostri pensieri e vivere maggiormente appieno la vita.

Loro ci parlano di “Sè esperienziale”, quello che fa esperienza diretta delle cose, che è presente. E di “Sè narrativo”, quello che invece commenta, giudica e racconta, ciò che ci accade.

Tuttavia per poter distinguere questi due piani che naturalmente si susseguono nella nostra esperienza: cioè passiamo di continuo da “un Sè all’altro” è consigliato esercitarsi anche in modo formale.

Il paradosso della pratica informale

Il più paradosso più curioso delle pratiche informali di meditazione sta nel fatto che per farle funzionare bene serve consapevolezza. E tale qualità la possiamo coltivare solo con le pratiche formali.

Quindi se vogliamo che riescano bene, non dobbiamo solo fare anche la nostra cara meditazione formale (il bodyscan, il respiro ecc.) ma dobbiamo anche intenzionalmente programmare quella informale.

E quando programmi quella informale questa diventa formale! Ecco il paradosso… è come dire che esci per fare una passeggiata (informale) e poi ti metti a correre cronometrandoti.

Non voglio confonderti e ti invito a leggere anche questo post sulla differenza tra pratiche formali ed informali. Ma solo mostrarti che queste due cose sono strettamente legate tra loro, per questo è bene farle entrambe.

Quindi in realtà NON esiste una pratica più importante dell’altra! Ma è chiaro che l’applicazione pratica più importante arriva quando riusciamo a diventare presenti nei momenti giusti.

I racconti dei maestri

Nella tradizione la condizione di “illuminazione” legata alla pratica formale della meditazione è una situazione di “perenne presenza”. I racconti degli illuminati ma anche gli studi recenti dicono qualcosa del genere.

Come abbiamo visto nella puntata dedicata a come la meditazione “cambia il cervello” abbiamo parlato del fatto che alcune di queste abilità che possediamo quando siamo presenti, tendono a stabilizzarsi.

La ricerca ci mostra che queste persone sono particolarmente presenti ma non può dirci se lo siano sempre, e credo proprio che non sia così. Avere la testa tra le nuvole ha molti vantaggi ed è necessario anche lasciar andare la DMN (Defoult mode network).

Però se sei davvero presente puoi costantemente tornarci, osservare quei pensieri in modo disidentificato e come sappiamo questo può fare la differenza in molte situazioni.

Così come è importante anche sapersi identificare con ciò che si fa per poter dare il meglio ed entrare nello stato di flusso (il flow). I racconti dei maestri sembrano dirci questo: persone che possono decidere come vivere le proprie esperienze.

Ci sono storie di monaci che passano mesi e mesi in meditazione lontano da tutto e da tutti ma che allo stesso tempo sanno coinvolgersi pienamente in ciò che fanno. Si divertono e ridono pienamente, soffrono e piangono pienamente.

La meditazione più potente

La meditazione più potente è quella che decidi di praticare… punto! Nel senso che se stai facendo la tua pratica formale, ecco quella è la più importante di tutte, così se stai facendo quella informale.

La pratica non consiste in una tecnica ma in un modo particolare di spostare la tua attenzione nel presente, questa è la chiave. Le pratiche formali ed informali servono solo per sviluppare questa qualità di attenzione.

Quindi la mia analogia tra palestra e vita (con formale ed informale) non è proprio azzeccato, perché entrambe sono addestramenti e vanno svolti come tali, non vanno confusi con il fatto di ritrovarti magicamente in uno strato di presenza.

Cosa che come abbiamo visto in questa puntata può accadere anche facendo altro e non necessariamente meditando o decidendo intenzionalmente di portare attenzione a ciò che ci circonda.

Una cosa è certa, saper spostare la propria attenzione intenzionalmente su ciò che desideriamo è una abilità importantissima in qualsiasi ambito. Ecco un buon motivo per coltivare le nostre pratiche e dare importanza anche a quelle informali.

Tu hai una pratica informale preferita?

Alla prossima
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.