Ti succede mai di sentire un senso di paura, angoscia o addirittura terrore quando non stai facendo assolutamente niente? No, non mi rivolgo solo alle persone che potrebbero avere problemi nella gestione dell’ansia, ma mi riferisco ad uno degli effetti più potenti della nostra amata meditazione.

In questa puntata de-costruiamo la pratica meditativa, partendo dal suo atteggiamento più noto: restare fermi senza fare assolutamente nulla. Buon ascolto

Perché de-costruire la meditazione?

Il mio approccio alla meditazione è da sempre “laico”, nel senso che ho iniziato a praticarla non per i classici motivi (desiderio di maggiore benessere ecc.) ma perché volevo misurarne la portata attraverso alcuni aggeggi di neurofeedback che stavo testando. Così, dopo anni di varie pratiche differenti iniziai con quella che oggi viene chiamata “mindfulness”.

L’effetto fu pazzesco, non solo questa esperienza mi consentì di comprendere le varie sfumature tra le molte discipline che stavo praticando ma mi accorsi del suo effetto davvero potente. La cosa straordinaria fu che non dovevo “suggestionarmi” in alcun modo, cioè bastava portare l’attenzione al presente senza dover fare nessuna visualizzazione, ripetere frasi strane o “credere in ciò che stavo facendo”.

Questa cosa della convinzione è stata il vero motore della decostruzione: com’era possibile che il semplice riportare l’attenzione al presente avesse un effetto così potente? Questa è la domanda che mi pongo ancora oggi e alla quale ho iniziato a dare alcune risposte, le prime arrivano dirette dalla ricerca sulla meditazione e sono arci note (inspessimento della corteccia pre-frontale, ecc.).

Altro caposaldo fu l’idea di meta cognizione cioè la capacità di accorgermi di ciò che mi passa per la testa, questa roba è il vero intreccio tra le pratiche meditative e la psicologia moderna. Infatti questa idea esisteva già prima che iniziassimo ad inserire tali metodiche nelle pratiche occidentali solo che non sapevamo come aumentarla a dovere, così la meditazione fu una risposta eclatante a tale bisogno.

Ma come sanno i praticanti prima di raggiungere la capacità di sentire il presente e riconoscere i propri contenuti interiori e trattarli adeguatamente, serve tempo ed impegno. Com’era possibile che dopo poche settimane o addirittura giorni questa pratica apportasse tutti questi benefici?

Io non ci credo

La cosa che più mi ha colpito della pratica di meditazione di consapevolezza è stato il fatto che apportasse beneficio al di là delle mie convinzioni. Ti posso assicurare che ho iniziato la pratica solo per capire se modificasse alcune mie onde cerebrali, non mi aspettavo i classici benefici di calma, concentrazione e pace interiore… eppure aumentarono.

Ma come praticavo rilassamenti, meditazioni e auto-ipnosi da almeno dieci anni e non avevo raggiunto un livello tale di benessere? Eppure ci credevo tantissimo in quelle pratiche, ero bravissimo ad usare gli effetti di suggestione (o meglio chiamarli di priming) su me stesso, eppure quella pratica funzionava anche se in fondo in fondo, dubitavo che avrebbe apportato modifiche al mio cervello, pensavo fosse una sorta di “moda tra addetti ai lavori” (nel 2009 circolava solo tra i tecnici).

Così ho iniziato a pensare che fosse qualcosa di simile all’allenamento fisico, non conta che tu creda o meno che allenarti regolarmente porterà dei benefici, lo fa e basta. Certo se ci credi sarai più motivato e sicuramente i risultati arriveranno anche prima, ma non è la convinzione il motore dei risultati di un buon allenamento, è la pratica continuativa che genera il risultato… al di là delle nostre convinzioni.

Per funzionare così bene dunque queste pratiche dovevano avere anche aspetti legati direttamente alla nostra fisiologia. Non che il pensiero non sia legato alla fisiologia ma doveva esserci qualcosa di più profondo, di maggiormente “biologico” alla base; tra le varie risposte una è arrivata qualche tempo fa quando è stato pubblicato questo studio sugli “occhi”.

Studio che tra l’altro però accomuna tutte le pratiche del genere, perché nella maggior parte di esse si chiede di chiudere gli occhi per un tempo prolungato. E in quello studio si diceva che tenere gli occhi chiusi per soli 2 minuti consentiva un recupero di “memoria di lavoro e creatività” del 50%, che è una percentuale pazzesca.

Immobilità

Sicuramente ciò che funziona per un certo tipo di pratica può essere comune ad un’altra. Insomma gli occhi chiusi si tengono in quasi ogni forma di meditazione o ipnosi, lo stesso vale per un altro aspetto: l’immobilità. Nessuna di queste tecniche prevede occhi chiusi e stare fermi ma entrambe sono facilitate da questi due comportamenti.

Cioè puoi meditare o andare in trance ipnotica con gli occhi aperti mentre ti muovi, come accade ad esempio mentre guidi, mentre fai sport e forse mentre stai leggendo queste parole. Ma la pratica più potente e facilitante avviene quasi sempre con occhi chiusi ed “economia dei movimenti” come amava chiamarla Milton Erickson nell’ambito dell’ipnosi.

Come ormai sanno praticamente tutti esiste una sorta di circolarità tra mente e comportamento in psicologia: se agisco come se fossi coraggioso ecco che aumenta davvero il coraggio. Ne abbiamo parlato a fondo in questo episodio, ma in linea di massima se mi metto in una posizione simile a quando sono triste il mio comportamento faciliterà l’arrivo della tristezza ecc.

Dunque quando siamo immobili che cosa facilitiamo? Come detto in puntata noi non siamo quasi mai davvero fermi, ci succede solo quando dormiamo (e non troppo) o quando siamo sul grembo materno o in compagnia del nostro amore (anche li non troppo fermi). Siamo praticamente immobili solo in una situazione, quella di terrore.

Dunque la quiete della pratica meditativa, il restare fermi non aumentano solo la nostra sensibilità: dato che siamo fermi e attenti notiamo con più facilità cosa emerge da dentro di noi ma ciò che emerge, soprattutto nelle prime parti della pratica, possono rassomigliare a sensazioni di paura e terrore legati alla nostra posizione fisica.

La condizione ottimale

Una delle domande che mi vengono poste più spesso è “dove meditare”. Molti credono che sia bene farlo in un luogo naturale, magari immersi nella natura o se si ha la fortuna di vivere in un posto isolato, meglio all’aperto o addirittura sul terrazzo. Ebbene agli inizi, per apprendere bene la meditazione, un posto zeppo di stimoli è un posto sbagliato.

Nonostante i monaci passino la maggior parte del tempo a meditare, quando fanno lunghi ritiri praticano più spesso al chiuso che all’aperto. I motivi sono tanti ma il principale è legato al fatto che meno stimoli esterni hai e più diventi sensibile a quelli interiori. Se sei in mezzo al verde, anche una leggera brezza può cancellare la sensazione dell’aria che entra e che esce dal naso.

Teniamo gli occhi chiusi per lo stesso motivo, per evitare che gli stimoli esterni ci distraggano eccessivamente. Certo, una volta costruita una base di consapevolezza possiamo praticare ovunque, ma se vogliamo sentire tutto il possibile di ciò che emerge da noi è sempre bene praticare in un luogo tranquillo e restando FERMI.

L’immobilità dunque diventa una sorta di “protezione dagli stimoli esterni” e allo stesso tempo un modo per sentire con maggiore consapevolezza come ci sentiamo quando siamo attraversati dai nostri contenuti mentali. Perché dovrebbe aiutarti dagli stimoli esterni? Perché una delle cose più difficili è spostare l’attenzione dalla esterocezione alla introcezione.

Cioè dal sentire gli stimoli che provengono da fuori da quelli che provengono da dentro. Fino a quando ti muovi questa distinzione è quasi impossibile da fare, ma non appena ti fermi ecco che diventa molto chiara. Se ci pensi è la stessa cosa che accade con i contenuti mentali, fino a quando sei intento a pensare a qualcosa che ti attrae non riesci ad avere meta cognizione.

Per questo le persone che vivono forte ansia tendono a muoversi spesso e a voler avere sempre la mente impegnata, perché fermarsi per loro significa doversi guardare dentro e come ha detto il nostro caro Watzlavich: “guardarsi dentro rende ciechi” e io aggiungerei: “può renderci ciechi se non abbiamo lo strumento della consapevolezza”. Per approfondire leggi questo.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.