Quante volte ti è capitato di mangiare qualcosa senza gustarla? Quante volte ti è capitato di non renderti conto di aver finito (o di star per finire) ciò che avevi nel piatto? Capita a tutti di essere particolarmente distratti durante i pasti ma pochi si rendono conto che tale tendenza può farci alimentare peggio… molto peggio. Recuperare anche solo un 10% della nostra consapevolezza durante i pasti fa bene al nostro corpo e alla nostra mente…

Esercitare la consapevolezza

“Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare” questa frase di dubbio gusto riassume un principio molto semplice: se vuoi migliorare in un qualche ambito devi allenarti e se vuoi che qualcosa diventi allenante devi sforzarti. Lo so che il termine sforzo fa scappare chiunque, siamo letteralmente progettati per risparmiare energia e quando qualcuno ci dice: “dai basta un piccolo sforzo o un pizzico di impegno” il nostro sistema nervoso fa le valige ed espatria (altro che cervelli in fuga). Siamo spaventati del doverci rimboccare le maniche… cosa c’entra tutto ciò con la consapevolezza?

In questi lunghi anni di pratica meditativa e di insegnamento mi sono sentito chiedere centinaia di volte cose molto simil tra loro, come: quando gioco a calcio con gli amici sono particolarmente presente, quindi è come se stessi meditando? Quando suono la chitarra entro in un modo tutto mio, posso usarla come meditazione? Quando guardo un bel film è come se nient ‘altro potesse distrarmi, quindi è come se meditassi? La risposta a questa domanda è una sola: Assolutamente NO! Certo ci fa bene entrare in stati di flusso come quelli descritti ma “flusso e presenza” non sono la stessa cosa.

Ma non solo più è facile restare nel presente e più significa che quella azione non ci allenerà più di tanto. E’ come dire, dato che riesco ad alzare 5 kg con facilità se continuerò ad alzarli aumenterà la mia forza? Si, ma fino ad un certo punto, sino ad un certo tipo di adattamento fisiologico a quel movimento. Poi, chiunque sia mai stato in palestra lo sa, se vuoi migliorare dovrai alzare i parametri allenanti (il peso, il volume ecc.) ma più è facile quel primo gesto e meno ti allenerà. Ecco perché mangiare con consapevolezza è una ottima meditazione, perché è terribilmente difficile restare presenti mentre lo facciamo!

E’ difficile perché i significati legati all’atto del mangiare sono tantissimi: le prime volte che qualcuno ci ha dato da mangiare non abbiamo visto solo l’appagamento di un bisogno fisiologico come la fame, ma anche e soprattutto di un bisogno di cure, di amore, di relazione. Come descritto dai famossimi esperimenti di Harlow e delle sue scimmie, è praticamente impossibile che attraverso la somministrazione di cibo durante l’infanzia non vi sia stata anche una trasmissione di ben altro, cioè di amore e accudimento. Quindi quando mangi non stai solo ripetendo quell’azione dettata dalla fame ma stai anche (in parte) nutrendo quel lato relazionale.

Mangiare non è semplicemente appagare il bisogno di recuperare le energie ma è un atto relazionale attorno al quale abbiamo costruito intere società. Cibarsi quindi non è mai il semplice riempire la pancia, tuttavia oggi il ruolo dei pasti è cambiato, non si tratta più solo di azioni conviviali, del luogo nel quale discutere in famiglia, oggi la faccenda si è come destrutturata. Tuttavia il ruolo simbolico resta dentro di noi e questa è una delle cause delle molte associazioni mentali che facciamo durante i pasti, si non è solo la televisione, come molti pensano.

Riempirsi la pancia

Se non siete degli appassionati di cucina e non avete un’alimentazione controllata, probabilmente mentre mangiate non sentite davvero il sapore di ciò che mettete in bocca. Questo capita un po’ a tutti, lo sappiamo perché negli anni i miei colleghi hanno fatto un sacco di esperimenti strani, come ad esempio cambiare il colore della carne per capire se ne alterava anche il gusto. La risposta è affermativa, il colore, l’odore e la consistenza possono influire parecchio sul sapore percepito.

Se immaginiamo i nostri antenati mangiare di certo non pensiamo a loro come dei degustatori attenti, giusto? Trovavano ciò che trovavano ed è quindi facile immaginarli intenti a riempirsi solo lo stomaco, ed in effetti sarà stato così in molte occasioni. Tuttavia il sapore per loro non era indice di bontà ma indice di salubrità del cibo, infatti i cattivi odori e sapori noi continuiamo a sentirli non perché siamo destinati a diventare tutti dei mirabili chef ma per sopravvivere!

Era vitale dunque prestare particolare attenzione al colore, all’odore ed infine al sapore di ciò che si metteva in bocca, pena la morte o qualche malanno devastante. No non c’erano i digestivi e neanche gli anti infiammatori per il nostro debole stomaco, per questo era essenziale essere particolarmente presenti mentre si mangiava. Non solo, pensate a quell’osso che poteva andare di traverso, quella parte troppo dura che rompeva i denti ecc.

Quindi sembra paradossale ma in un periodo privo di risorse è possibile che stessero particolarmente attenti a ciò che mettevano in bocca. Mentre oggi guardiamo l’etichetta della scadenza a quel tempo odoravano il cibo, guardavano i colori, ne testavano la consistenza ecc. Quindi al di là della nostra società della distrazione è più che probabile che i nostri antenati fossero più presenti mentre mangiavano per questioni di salute. Cosa che è rimasta in parte nella nostra tradizione con i proverbi:

“Bisogna masticare 33 volte… quando mangi hai a che fare con la morte”. Lo so sembrano intimidazioni assurde ma ti assicuro di averle sentite più di una volta nella mia vita. In realtà le cose sono cambiate ma non troppo nella sostanza, perché ancora oggi mangiare è questione di vita o di morte. Di vita ovviamente perché se non mangiamo moriamo molto rapidamente e di morte perché oltre alla fame nel mondo siamo in un periodo nel quale mangiamo troppo e rischiamo di morire a causa del troppo cibo.

Bliss Point

Hai mai sentito parlare di “bliss point“, potremmo tradurlo (male) come “punto di goduria” ed è ciò che le industrie alimentari hanno costruito a tavolino negli ultimi anni. Sono brutti e cattivi e ci vogliono malati? Non credo, credo sia stato solo un modo per cercare di vendere più prodotti, un po’ come i social, tutti nell’internet pre-social volevamo aumentare il tempo di durata della visita di un navigante. Anche qui su Psinel (che è nato nel 2007) abbiamo cercato, ma la ricerca è diventata talmente potente che oggi i social generano dipendenza per tutti… proprio come il cibo!

Si il cibo di per se può creare dipendenza, anche se la vera dipendenza non dipende solo dalla sostanza (come afferma Zinberg con il suo triangolo composto da sostanza, set luogo e setting predisposizione) ma il fatto che oggi molti cibi processati siano stati studiati a tavolino aumenta tantissimo il nostro desiderio di mangiarli. Ora lasciamo stare neurotrasmettitori e meccanismi neuronali (anche perché tra qualche anno vedrai che cambieranno) ma parliamo del funzionamento umano che tende ad adattarsi costantemente agli stimoli esterni.

Dunque se tutti i cibi iniziano ad essere colorati in modo incredibile (il caso della frutta e verdura), buoni da godimento puro (perché mescolano sapientemente grassi, glucidi e sale) ecco che tendiamo ad abituarci, a pensare che il cibo buono sia quello. Negli States siamo giunti al paradosso per il quale è più facile trovare una bevanda dolce e gasata che l’acqua minerale. Costano meno 3 litri di Coca Cola che una bottiglia da 50 Cl di acqua… perché? Perché l’incrocio tra domanda e offerta delle prime supera di netto quello delle seconde. Se tutti vogliono la bevanda zuccherata allora costerà sempre meno produrla ecc.

Tutti questi trucchi delle industrie ci hanno abituati a sapori finti e artificiali. Al punto tale che quelli naturali, a molti non piacciono, tanti americani affermano di non apprezzare il gusto dell’acqua. Tutto ciò che ho detto concorre nel farci perdere la capacità di gustare davvero le cose che mettiamo in bocca. Attenzione non voglio fare il cospirazionista ma è ovvio che vendere di più spinga le aziende a cercare prodotti che si vendano maggiormente… questi sono giusti discorsi politici che andrebbero affrontati da quel punto di vista, della politica ma anche le nostre scelte possono aiutarci a migliorare le cose.

Ma l’ultimo messaggio che vorrei arrivasse è quello del “si stava meglio una volta“, non è vero, tuttavia tra le molte cause che oggi mi spingono a parlare di mindful eating, ci sono anche queste. E sembrerà scontato ma tutto ciò ha una forte ripercussione con la nostra alimentazione e di conseguenza sulla nostra salute. Non solo siamo iper bombardati dalle distrazioni (se hai letto Facci Caso le conosci), non solo il cibo assume molti significati nella nostra cultura, ma dobbiamo anche prestare attenzione al fatto che molti cibi attuali non sono nutrienti e spesso sono più nocivi che benefici.

Mindful Eating e Mindfulness

Come accennato in puntata mangiare consapevolmente fa parte degli insegnamenti antichi del Buddismo in molte forme diverse. Ma il fatto che questa potesse diventare una pratica di salute e benessere sganciata da ogni convinzione tradizionale è qualcosa dei giorni nostri. Qualcosa che esattamente come la mindfulness verrà attaccata sia dai praticanti tradizionali e sia dai (non aggiornati) operatori della salute. I primi penseranno ancora che si tratti di una banalizzazione di una tradizione millenaria e i secondi che sia un semplice giochino stupido basato sui sensi.

In realtà si tratta ancora una volta di quel processo che abbiamo visto con la mindfulness, di isolare gli aspetti utili di una pratica millenaria (e di conseguenza mettere da parte gli aspetti meno utili secondo la ricerca) e cercare di capire se possono aiutare realmente le persone. Le risposte le abbiamo nella mole di ricerche in questo ambito, le quali sono sempre di più e sempre più solide: mangiare con consapevolezza migliora diversi aspetti della nostra vita, proprio perché mangiare è un aspetto centrale della nostra esistenza.

Quanto c’entra la mindfulness con questa pratica? Tantissimo! Non tutte le persone riescono a cogliere cosa significhi realmente restare nel presente, serve un pizzico di training, neanche io sapevo davvero cosa fosse prima di praticare. Quindi mettere un pizzico in più di consapevolezza mentre mangiamo è sicuramente il primo passo, è certamente utile ma forse non è sufficiente. Serve anche la pratica meditativa che fa pienamente parte del protocollo mindful eating perché in fondo, per citare Kabat-Zinn si tratta sempre di una pratica per “riprendere i sensi”.

I sensi sono la porta verso il presente, sono il portale che ci collega a ciò che ci circonda, a ciò che sentiamo momento per momento. Un pullulare di sensazioni che per la maggior parte del tempo non percepiamo, restano in sotto fondo, ed ecco che la pratica meditativa è far si che quel fondale diventi figura in primo piano e in secondo piano vadano tutte le associazioni mentali e le distrazioni quotidiane.

Mangiare con consapevolezza implica la capacità di fare tutte queste cose, le quali richiedono tempo ed esercizio, proprio come ogni pratica meditativa. L”importanza estrema dell’alimentazione nella nostra vita, la sua rilevanza a livello sociale, i vari significati che si creano nello scambio tra madre e figlio (ecc.), dovrebbero intuitivamente portarci a cercare di essere più presenti, ed invece non lo siamo proprio in quei momenti.

La consapevolezza funziona come tutte le cose umane: se la coltiviamo cresce se non la coltiviamo appassisce…

Buon appetito consapevole!

Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.