Come mai è così importante per il nostro cervello capire la statistica? Ma soprattutto perché il suo modo di creare storie può essere sia un super potere che un limite gigantesco? Le risposte a queste domande hanno la capacità di aprici a nuovi modelli mentali in grado di accelerare la nostra crescita personale.

Ci raccontiamo storie

Se mi conosci lo sai, sul a tema non posso resistere e devo raccontare una storia, quella di un giovane Freud durante una festa di fine anno in Francia. Freud era ospite alla Salpetriere per imparare l’ipnosi da Jean-Martin Charcot il quale per dimostrare il grande potere dell’ipnosi decise di fare un esperimento. Dato che ogni anno il medico francese organizzava un veglione di capodanno, prese una paziente molto suscettibile e la invitò a seguire una suggestione post-ipnotica. Cioè una suggestione che si attiva dopo che l’ipnosi è formalmente terminata.

“Quando scoccherà la mezzanotte tu prenderai un ombrello e ti recherai al centro della sala da ballo”. Freud curiosissimo stette in attesa fino allo scoccare dell’ora stabilita, non appena vide muoversi la paziente la seguì, ella esattamente come suggerito prese un ombrello e si recò al centro della sala ed aprì l’ombrello. Freud le chiese subito perché avesse un ombrello al chiuso e soprattutto perché lo avesse aperto. Come prima risposta ricevette un semplice: “beh sta piovendo” ma quando Freud le disse che erano al chiuso lei rispose prontamente: “Beh l’ho fatto perché mi andava”.

Freud si accorse che la donna continuava ad aggiustare il racconto di modo che fosse coerente, di certo non avrebbe mai detto qualcosa del tipo: “non lo so mi sembrava la cosa giusta” o ancora peggio: “mi è stato suggerito in stato di trance dal suo maestro, non rompa le scatole e si faccia gli affari propri!”. Tornato a Vienna Freud iniziò a chiedersi se il nostro comportamento, soprattutto quello che non riusciamo a spiegare, non avesse una natura simile: e se i comportamenti che agiamo inconsapevolmente fossero come delle suggestioni-post ipnotiche? E se ciò che ne deriva non fosse altro che un modo per raccontarcela, per far quadrare le cose anche se le cose non quadrano?

Tutte queste domande non ebbero mai una risposta univoca, almeno fino a quando Daniel Kahneman non iniziò a studiare il modo con il quel tendiamo ad interpretare i dati statistici e matematici. Certo molti appassionati di psicoanalisi davano ragione a Freud: “te la racconti perché altrimenti dovresti fare i conti con il tuo rimosso” ma in realtà non esistono prove empiriche del fatto che le cose stessero così (o che stiano così, ancora oggi non siamo certi dell’esistenza di un rimosso freudiano che bussa nella nostra psiche inconscia).

Lo so è un discorso complesso, in parte ne abbiamo discusso qui ma la cosa che ci interessa oggi sottolineare è che quando non capiamo qualcosa tendiamo a raccontarcela. Non è una novità, lo facciamo praticamente da sempre, da quando abbiamo iniziato a tirare fuori ipotesi sul funzionamento del mondo: “sai perché piove? Perché il cielo è triste per come ci siamo comportati” è una risposta semplicistica che ci aiuta però a dare un senso agli eventi che ci circondano, soprattutto quando sono forti ed intensi. Non è un caso che quando capita una calamità naturale la gente voglia sapere chi è il colpevole: chi non si è occupato degli argini? Chi non ha fatto una verifica delle fondamenta? Ecc. Nei racconti c’è sempre un colpevole!

Le storie sono mappe

Le storie sono mappe plausibili, incomplete ma in grado di orientarci in ciò che stiamo facendo, soprattutto quando cerchiamo di spiegarcelo. Anzi non possiamo fare a meno di spiegarcelo, ogni evento che accade deve rientrare in una storia più o meno coerente, ne sentiamo il bisogno proprio perché diventa una mappa. Per fare questa operazione di ricerca di senso dobbiamo semplificare le cose, dobbiamo far sì che quel racconto spieghi qualcosa, lo facciamo sempre, soprattutto quando le storie sono incomplete… e come avrai intuito le mappe sono sempre incomplete.

Ora questa faccenda che ci raccontiamo storie per capire la realtà cosa c’entra con a statistica? C’entra perché molte cose che accadono intorno a noi seguono le leggi della statistica ed è proprio guardando la differenza tra il nostro modo di capire tali situazioni che abbiamo scoperto i famosi BIAS (che oggi sono davvero sulla bocca di tutti). Attenzione a questo passaggio: il raccontarci storie non è negativo ma è il modo più funzionale che la natura abbia escogitato per passarci le informazioni e trasmettere cultura. A differenza di tutti i nostri cugini animali noi non abbiamo bisogno di aspettare che ci cresca il pelo per proteggerci dal freddo.

Sprovvisti di pelliccia possiamo insegnare ai nostri figli come procurarsene una e ripararsi dal freddo. Possiamo insegnarglielo in 2 modi: mostrando loro cosa facciamo noi, con il proverbiale “esempio” o con le storie che raccontiamo. Qui abbiamo parlato moltissimo del potere delle storie nelle nostre vite e per la nostra psicologia in generale. Ora il problema è che solitamente tendiamo a preferire storie che ci sembrano coerenti rispetto a quelle che non hanno coerenza. Quando parlo di “coerenza” intendo che la storia sembra filare senza intoppi, senza dubbi… e purtroppo sono le storie peggiori!

Immagina di sapere che un tizio che vedi tutti i giorni ha perso il lavoro. La prima cosa che potresti pensare guardandolo è: “Beh da come si veste non mi sembra una persona molto seria, probabilmente è per questo che ha perso il lavoro”. Questa storia, questa spiegazione è liscia e senza intoppi, è molto più complesso (e dispendioso per il nostro cervello) cercare cause differenti, come ad esempio il fatto che si sia ammalato o che abbia un capo terribile ecc. In base a cosa pensiamo del licenziamento tenderemo ad indulgere in una storia piuttosto che un’altra.

Cosa c’entra tutto ciò con la statistica? Beh ho usato la statistica come esempio ma in realtà noi facciamo sempre questa cosa. Ed inoltre la utilizzo perché è un tipo di matematica molto importante (molto più importante di quanto molti credano) con la quale siamo costantemente in interazione senza saperlo. Dato che il nostro agire è una sorta di scommessa sulla realtà (vedi la puntata precedente) è chiaro che saper giudicare bene le probabilità delle nostre puntate sia qualcosa di rilevante. Ed infatti abbiamo una sorta di conoscenza ingenua della statistica, ma a volte sbaglia e quando lo fa ci fa cadere con il sedere per terra.

La matematica come sistema rappresentazionale

La matematica è una specie di linguaggio rappresentazionale, probabilmente il più preciso che abbiamo mai scoperto. Cosa intendo per rappresentazionale? Nella costruzione delle nostre mappe (convinzioni, previsioni sul mondo ecc.) noi filtriamo i dati sensoriali e concettuali per riempire tali mappe, ma dato che sono rappresentazioni di qualcosa è chiaro che nel passaggio di traduzione qualcosa venga perso. Io posso descriverti quello che ho visto, sentito e provato in una certa situazione, ma tale modo di rappresentare sarà sempre incompleto e non riuscirà a darti informazioni precise al millimetro su ciò che accade.

Questo è evidente tutte le volte che mi ritrovo a fare un gioco di formazione molto noto in psicologia. In pratica si prende un foglio e ci si disegna sopra delle figure geometriche a caso, messe in modo casuale all’interno del disegno. Poi si chiede ad una persona di prendere quel foglio e di cercare di descrivere ad un pubblico, munito di carta e matita, esattamente ciò che è stato disegnato. Ci sono alcune regole (che variano di volta in volta) quelle generali sono: non puoi fare gesti con le mani, non puoi mostrare il disegno (ovviamente), puoi solo descrivere a parole ciò che vedi.

Ora alcune persone sono molto brave: “Avete davanti a voi il foglio, più o meno al centro c’è un parallelepipedo che occupa circa un terzo del foglio ma solo in larghezza. In basso si interseca con un piccolo triangolo sul lato sinistro. Ecc.”. Capite che non è una cosa semplice da fare, soprattutto se eliminiamo l’aspetto non verbale, cioè i gesti. C’è un modo per riuscire a farlo nel modo più preciso possibile? Si, anche se nei role play viene vietato e consiste nel prendere letteralmente le misure. Suddividere il foglio con assi cartesiani e dare le precise corrispondenze di altezza e larghezza.

Ad esempio: “Prendete il foglio e suddividetelo in 4 quadranti. Ogni quadrante suddividetelo ancora in 4 parti, ora come in una scacchiera numerate le collonne ed assegnate una lettera alle linee. Ora, nel disegno c’è un parallelepipedo che parte dal basso dalla casella 2B e prosegue fino alla 7G, ecc.”. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo creato una rappresentazione matematica per poter comunicare delle informazioni, la matematica è il sistema rappresentazionale più potente. “Bello ieri sera? Quanta gente c’era al bar a vedere la partita?”, “Un sacco di gente” (informazione analogica), “Si, ma quanta?”… “Ho una foto, aspetta che conto… direi circa 26 persone” (risposta digitale, molto più precisa ma molto poco umana).

E’ chiaro che solo un automa può pensare in questo modo matematico, anche se in realtà dentro di noi accade qualcosa di simile a livello biologico. Noi siamo una sorta di algoritmo biologico molto preciso, ma non precisissimo. La statistica è un tipo di matematica molto più simile a come funziona il nostro modo di pensare e a tratti anche il nostro intero mondo, ma non posso affermarlo con troppa forza perché non sono né un fisico né un matematico (due specie che non si amano molto).

La statistica è un modello mentale

Negli ultimi tempi, da quando quei geniacci di Farnman Street hanno tirato fuori i loro libri (i quali riassumono i loro post, quindi li trovi quasi tutti gratis nel loro sito) hanno iniziato a parlare di modelli mentali. Cioè di una serie di modi di pensare che possono aiutarci a prendere meglio le decisioni, moltissimi di essi si riferiscono proprio alla statistica. Perché? Perché non siamo portati ad interpretare correttamente i dati numerici e quindi cadiamo nei bias, per riuscire a limitarne l’effetto possiamo affidarci a modelli mentali specifici.

Non ci viene naturale quasi niente della statistica, a partire dalla probabilità a priori sino alla capacità di valutare se dopo un gran numero di lanci uscirà testa o croce. Se sei un mio collega o un appassionati sai che questi sono argomenti datati, hanno 20 anni ma NON vengono insegnati da nessuna parte, soprattutto sono in molti a parlare di bias ma sono in pochi ad aver capito che la loro natura nasce da questo modo automatico di ragionare… cioè dal fatto di aggiustare le cose con delle storie. La cosa pazzesca è che ultimamente abbiamo capito che è proprio il nostro modo di ragionare a farci “inventare le cose”.

Lo sapevamo da tempo dalla psicologia sociale che siamo degli “aggiustatori di storie”, ti basta pensare al notissimo fenomeno della dissonanza cognitiva. Ma che lo facessero anche le intelligenze artificiali è stata una sorpresa, loro le chiamano allucinazioni ma sono in realtà dei modi per dare senso e coerenza al discorso. Esattamente come tendiamo a fare noi quando non capiamo una cosa, tendiamo a scegliere la strada più facile che è quella della spiegazione narrativa. Niente di male, questa ci salva spesso la vita ma il problema diventa evidente quando non ci accorgiamo di farlo, quando manca consapevolezza del processo.

Per questo bias e modelli mentali hanno spopolato nel campo della crescita personale. Perché ci aiutano a notare come tendiamo a far fronte alla realtà che ci circonda, studiare un pizzico di statistica di base può fare davvero bene. Forse il modo migliore per farlo è leggere direttamente “Pensieri lenti e pensieri veloci” che pur non essendo un libro di statistica è la bibbia dei bias e contiene la maggior parte delle riflessioni più rilevanti nel campo della psicologia degli ultimi 50 anni!

Chissà, forse avevano ragione “i Pitagorici” a ritenere i numeri magici in un qualche modo o per essere più vicini a noi Galileo che vedeva nella matematica il linguaggio della natura. Troppo spesso tendiamo a vedere il tema della matematica come qualcosa di opposto all’umanità, razionalità e cuore e sicuramente tutti la porremmo nel primo termine e non nel secondo. Il mio invito non è quello di diventare matematici ma di cercare di osservare come funzioniamo per aumentare la nostra consapevolezza. Tale coscienza non si espande solo con la meditazione ma anche attraverso …altre storie… come quelle che hai letto sino a qui.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.