Ormai non è un segreto, se vogliamo imparare qualcosa è necessaria la cosa meno sexy del mondo, l’impegno! Di recente abbiamo parlato della neuroplasticità precoce, quella che dura sino a circa 25 anni e che non richiede grosso impegno intenzionale e di quella tarda, che al contrario richiede sforzo (altro termine tabù). Che tu abbia più o meno di 25 anni la cosa non cambia, sforzarsi a caso non porta a grandi risultati ciò che serve è capire come “impegnarsi” nel modo migliore per ottenere risultati… e se fosse un semplice “gioco”?

La pratica deliberata

In questi anni abbiamo visto in diverse salse questa tematica che a molti potrà sembrare una banalità: puoi migliorare in qualsiasi ambito al solo patto che tu riesca a ad avere una buona mentalità (mindset di crescita) ed un buon allenamento (la pratica deliberata). Come abbiamo visto molte volte ore di pratica a caso non conducono necessariamente alla maestria, conosco molte persone che svolgono mestieri da decenni ma che al contrario di migliorare sono peggiorati. Per quanto possa sembrare strano se non addirittura inquietante, alcune ricerche indicano che i professionisti nel tempo tendono a peggiorare.

Sì avete capito bene, tutti i professionisti dopo la fase di studio e apprendistato, dopo aver appreso le prime manovre efficaci, tendono a diminuire l’efficacia della propria prestazione. Ciò non vale solo per i più pigri, coloro i quali una volta raggiunta una certa professione professionale si adagiano sugli allori, ma a quanto pare capita anche a chi pensa di restare in allenamento. Sì perché i miglioramenti non deriverebbero dal continuare a fare quella certa azione ma dal cercare di migliorarla costantemente! So che questa cosa potrebbe agitare alcune persone, ma lasciate che mi spieghi meglio.

Le persone cercano di migliorare le cose che pensano di non fare abbastanza bene, questa è la naturale tendenza che abbiamo quando stiamo imparando qualcosa. Fino a quando non mi verrà bene insisterò. Ma nel momento in cui le cose iniziano a funzionare, ecco che entra in gioco la nostra famosa “economia cognitiva” che si spinge a risparmiare risorse, una volta che sai fare quella certa cosa è giunto il momento di smetterla di migliorarla. Purtroppo però le abilità umane sono particolari e sono tutte soggette ad una legge antipatica: “ciò che non migliori non resta uguale ma tende a peggiorare”.

Tutto ciò si intreccia con la fallacia del talento, ci sembra infatti che le persone che continuano ad allenare aspetti di base della propria attività, siano degli sfigati. Solo chi non è bravo o non ha capito necessita di continuare ad allenarsi e studiare. Lo so sembra assurdo ma pensa al tuo mestiere, pensa ad una attività di base che facevi agli inizi ed immagina un tuo collega che continui a cercare di migliorarla, probabilmente ti sembreranno sforzi inutili… e invece non è così e basta dare un’occhiata al mondo dello sport per capirlo. Come mai sportivi e performer continuano ad allenare fondamentali e rudimenti di ogni genere?

Perché sanno che quelle basi non sono assodate per sempre, che le abilità di base fanno la differenza. La dura verità da accettare è che le nostre abilità se non vengono allenate tendono a deteriorarsi, anche e soprattutto, quelle che diamo per scontate. Mi rendo conto che tutto ciò suona molto antipatico, a nessuno piace l’idea di doversi allenare per sempre, tuttavia sembra proprio che la qualità della nostra vita dipenda in gran parte proprio da questo. Per farlo non serve l’ossessione alla perfezione ma serve l’umiltà di rendersi conto che possiamo sempre migliorare. Sembrano due cose identiche ma sono molto diverse tra loro.

Potenziale nascosto

Nel suo nuovo libro “Hidden Potential” Adam Grant ci racconta il tema della pratica deliberata ma anche di un fenomeno ad essa connesso il “boreout” una sorta di burnout causato dalla noia. Se segui Psinel da tempo sai che abbiamo dedicato alcuni contenuti proprio a questo tema, perché la noia è qualcosa che ha caratteristiche specifiche, per tale motivo non sono totalmente in accordo con quanto affermato da Grant. Sono d’accordo sul fatto che il gioco sia una delle cose più importanti e che tendiamo a sottovalutarlo, l’anno passato abbiamo proprio approfondito il tema del gioco.

Il problema si crea quando la gente inizia a pensare che si sta annoiando allora significa che ciò che sta svolgendo non è abbastanza attraente o divertente da essere portato avanti. Perché è un problema? Perché tutto se ripetuto può diventare qualcosa del genere, anche la cosa che in questo momento ti attrae maggiormente, si anche quella che stai pensando in questo momento. Nella nostra società dove tutto diventa “disponibile” dove sembra che non si debba fare nessuno sforzo per raggiungere certi risultati, il tema del gioco può essere facilmente frainteso.

Quindi considerare il gioco non solo come una pratica piacevole e coinvolgente ma come una simulazione (un allenamento) è la chiave per comprendere questo concetto. Ecco una domanda che forse ci aiuta a fare più chiarezza: quali sono le vere differenze tra “il gioco” e l’allenamento? Si può affermare che una persona che si allena in modo coinvolgente, che entra nel fantomatico flow, che arriva addirittura a divertirsi, stia “giocando”? Gregroy Bateson ci direbbe che la differenza sta in come punteggiamo la relazione e in cosa meta comunichiamo.

Gli esempi che fa Bateson sul gioco sono tantissimi ma uno in particolare ci aiuta a chiarire. Bateson si aiuta parlando di Alice nel paese delle meraviglie e ci invita ad immaginare due bambini che giocando dicano: “facciamo un gioco, tutto quello che ci diciamo è sempre falso”. Da quel momento in poi è impossibile uscire dal gioco senza una meta-regola, facciamo un esempio ammettendo che uno dei due si stufi e dica: “non voglio più giocare” l’altro avendo in testa la regola generale penserà che la persona voglia continuare. Cosa può interrompere il gioco? Una meta-regola che affermi che il gioco è finito, come una parola chiave.

Per un giocatore di pallacanestro una partita di allenamento non è diversa da una di campionato, almeno a livello di gioco e di regole. Tuttavia c’è la meta-regola che afferma che quella partita non è così importante e che serve a migliorarsi. Questa meta-regola fa la differenza tra la partita ufficiale, l’allenamento oppure una partitella tra amici la domenica. Ma siamo tutti d’accordo che i gesti atletici coinvolti siano gli stessi. Bisogna stare attenti a non confondere troppo il piacere con l’impegno perché altrimenti viene fuori un piccolo casino.

Il gioco deliberato

Questo tema è a pag. 92 del testo originale di Grant ed inizia in questo modo: “il gioco deliberato è una attività strutturata costruita per sviluppare le abilità in modo piacevole” (enjoyable). Che se ci pensi è come dire che se ti stai annoiando mentre leggi queste parole è perché il mio modo di scrivere è poco “divertente” o “acchiappante”. Ci sta, tuttavia il tema del rendere le cose troppo coinvolgenti ha dei lati negativi pesantissimi soprattutto nel nostro tempo storico, nel quale siamo molto abituati a non fare alcun tipo di sforzo.

Mentre è esperienza comune che le attività anche di “sforzo” come ad esempio andare in palestra, possono nel tempo assumere un carattere di piacevolezza, fino a dare quasi dipendenza. Ecco, per quanto mi riguarda è questo tipo di meccanismo che dovremmo perseguire, cioè quello che ci fa superare il boreout, non perché aggiungiamo cose divertenti ma perché il compito diventa più divertente. E quando succede questo? Succede paradossalmente via via che sviluppiamo alcune abilità di base. Ti faccio un esempio con una delle mie attività preferite: suona la chitarra.

Se non hai mai suonato la chitarra e ti piacerebbe iniziare, oppure hai mai inizisato, ti sarai reso conto che la inizialmente la cosa è abbastanza frustrante. Vorresti già magari fare alcuni accordi, cantare alcune canzoni ma il suono che esce fa schifo e ti rendi conto che è anche doloroso. Sì se non hai mai schiacciato le corde di una chitarra in vita tua, sappi che farlo per le prime settimane è abbastanza doloroso e frustrante, perché al contrario di altri strumenti (come il piano) se non metti le mani correttamente ciò che viene fuori fa davvero schifo.

Quindi nell’apprendimento di nuove abilità lascerei stare da parte il tema del “gioco deliberato” che però può tornare utile (e molto) in tutte quelle attività quotidiane che già sappiamo fare ma che per un motivo o per l’altro ci annoiano. Grant ci dice che paradossalmente può capitare proprio a chi ha forte passione di trovarsi ad annoiarsi, cosa strana ma che lui inserisce nel tema della “passione” in quanto etimologia. Come abbiamo visto in passato passione non significa solo desiderio ma anche “patire” ed infatti si soffre molto di più se si fallisce in qualcosa che ci appassiona rispetto ad altro.

Per riuscire a sconfiggere questa polisemia del termine passione, Grant inserisce il tema di “passione armonica“, intendendo la differenza tra chi si esercita ossessivamente per raggiungere un risultato (patire) e chi invece trae gioia e godimento da ciò che svolge. Solitamente le cose che amiamo possono prendere questa piega quando diventano una sorta di obbligo, soprattutto se tale imposizione è esterna, se ricordi abbiamo visto che l’autonomia vale quasi più della ricompensa in denaro. Non si pratica più con l’idea del “devo farlo” ma con la sensazione del “voglio farlo” perché mi piace e mi fa sentire bene.

Voglio farlo perché mi piace: la passione armonica

Adam Grant ci racconta di uno studio effettuato con alcuni suoi colleghi su alcune infermiere professionali alle quali ha semplicemente chiesto di presentarsi ai suoi pazienti come “Infermiera rapida” (Nurse Quick Shot – Infermiera che ti fa la puntura veloce). Questa semplice descrizione ha spinto le infermiere ad essere realmente più veloci ed indolore, creando una piccola sfida in grado di migliorarne realmente le prestazioni. Quel messaggio aveva un doppio scopo: rassicurare i pazienti che la procedura sarebbe stata veloce (il che li suggestionava anche un po’) e spingere l’operatore a dare il massimo.

In questo esperimento è stato attivato un nudge (la nota spinta gentile) che ha funto da “prime” per attivare un atteggiamento mentale rivolto ad una “sfida giocosa”: cercare di tenere fede a come si sono presentate. Questa “passione armonica”, quella che vogliamo perseguire perché ci piace però non deve necessariamente essere divertente ma sarebbe meglio descriverla come: coinvolgente. Qualcosa che ti consenta di entrare in quel flow che è caratterizzato da una sfida che sai affrontare (auto-efficacia) ma non né troppo difficile da impegnarti eccessivamente ma neanche troppo facile da farti annoiare.

Poi per quanto mi riguarda mette un po’ di cose separate assieme: ad esempio ci racconta di medici che hanno tratto beneficio dal frequentare corsi di improvvisazione. Giocando hanno migliorato le loro abilità relazionali e si sono conosciuti meglio. Qualcosa che nei corsi di formazione aziendale si fa da decenni davvero in ogni salsa: viaggi in barca, camminate, scalate, arrampicarsi sui pali, giocare con i lego e molto molto altro. Praticamente qualsiasi attività può diventare un luogo di training per abilità trasversali da utilizzare in più contesti.

Personalmente sono convinto che la spinta interiore alla creazione di una passione armonica sia la chiave per migliorare. Cioè non fraintendermi, di certo migliorare i processi di apprendimento dall’alto, modificando pratiche e modalità (nudge ecc.) è di certo una cosa ottima da implementare. Tutto questo può aiutarci a mantenere un’armonia con le nostre passioni, senza trasformarle in ossessioni, in doverizzazioni potremmo dire. Ma questo non credo dipenda dalla mancanza di “gioco” ma credo sia un discorso molto più ampio che riguarda la nostra personalità e molto altro.

La vera motivazione è sempre intrinseca, lo sappiamo da un sacco di tempo, tuttavia cercare di migliorare ciò che ci circonda e le cose che facciamo per aumentarla non è un male. L’importante è evitare la trappola della facilità, cioè la tendenza del nostro organismo a cercare sempre l’alternativa più semplice, delegando il potere delle cose all’esterno. Ognuno di noi ha forza a sufficienza per rendersi conto che la spinta motivazionale arriva dall’interno e spesso è difficile da reclutare. Per questo serve esercizio e sembra che i risultati di Ericsson fossero più legati a questo tipo di atteggiamento mentale che al tema del “renderlo coinvolgente”.

La noia

La noia si batte con il coinvolgimento non dato esclusivamente dalla situazione, dallo stimolo esterno ma dato da noi stessi! Quella intenzionalità attiva difficile da mantenere ma essenziale per restare sul pezzo, in fondo la conosciamo tutti. Ecco io sono convinto che questa sia un’abilità, ne ho prova dalla pratica della meditazione, sei tu a poter decidere intenzionalmente di dare maggiore o minore attenzione a queste parole. E da tale qualità attenzionale dipende la qualità e la quantità di cose che apprendi e, ciliegina sulla torta non ti annoi!

Se per caso hai letto “Facci Caso” avrai intuito che è questo il tema. In questi anni inoltre abbiamo parlato del fatto che il nostro cervello non vede la realtà ma la anticipa, tali previsioni sono strettamente legate alle nostre abilità. L’esempio più semplice e bello è ancora quello della camminata: se sei una persona allenata, magari che si spara chilometri di corsa alla settimana, pensare di dover percorrere 2 chilometri a piedi (magari perché non si trova parcheggio) è letteralmente una passeggiata. Al contrario, se non sei allenato seguire quel percorso è decisamente più arduo. Sembra banale lo so ma aspetta…

Perché quando queste due persone pensano alla strada la percepiscono in modo differente, la prima la vede come qualcosa di semplice la seconda come qualcosa di difficile al di là del contesto. Non importa se si tratta di una camminata, di fare qualche piano a piedi o qualsiasi altra attività fisica, la persona più allenata vedrà quella situazione come più semplice. La quantità di sforzo che fai oggi diventa un investimento per il domani, semplice da capire ma difficile da mettere in pratica, non perché siamo stupidi ma perché il nostro cervello è disegnato per farci scegliere sempre la strada più comoda.

Il tema del Gioco Deliberato è splendido e di certo lo approfondirò, tuttavia ci tengo a questa distinzione importante perché dobbiamo tenere a mente che la cosa che porta maggiori risultati è allo stesso tempo la cosa che teniamo alla larga: l’impegno. Non ci piace per niente ed è addirittura in grado di fare cose pazzesche se preso male (parlerò in un video di Burnout creativo) come ciò che sta accadendo a molti creator americani della YouTube degli inizi. Ci sono un sacco di persone, gente di successo, che guadagna un sacco facendo video sul tubo.

Ecco molte di queste persone dicono frasi del genere: “Io so che YouTube è il lavoro dei sogni, ma è sempre un lavoro”. La migliore metafora è quella del bicchiere da tenere in mano, la verità è che niente è solo piacevole e se qualcosa è solo piacevole difficilmente ci porterà grandi risultati nel tempo. Questa è la dura verità che di certo possiamo migliorare studiando meglio l’architettura delle scelte (i nudge) implementando i nostri ambienti e raffinando le nostre pratiche… ma nessuna di queste cose potrà sostituire l’intenzionalità di voler migliorare.

Insomma ci sarebbe tanto altro da dire… se vuoi saperne di più ti basta scrivermelo tra i commenti qui sotto o sotto il video Extra che uscirà come sempre il martedì (dall’uscita di questo episodio) alle 18:00.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.