Oggi torniamo a parlare di non verbale e lo facciamo citando uno studio davvero molto interessante nel quale alcune persone sono state invitate a guardare alcuni spezzoni della nota serie tv “Friends”. Le implicazioni di queste ricerche hanno aperto la porta ad un modo nuovo di vedere l’interpretazione della comunicazione non verbale e non solo… oggi un mare di ottima psicologia.
La fallacia di Friends
Come hai potuto ascoltare se facessimo vedere un episodio di Friends a varie popolazioni del mondo togliendo l’audio, la maggior parte di esse riuscirebbe ad interpretare in modo cristallino le intenzioni (e gli stati interni) dei protagonisti. Il motivo è molto semplice, essendo attori sono addestrati a mostrare con chiarezza la propria mimica, in modo che possa essere molto comunicativa.
Nel libro “Il dilemma dello sconosciuto” Malcolm Gladwell ci parla di una fantomatica “fallacia di Friends” che sembra illuderci di riuscire a cogliere e comprendere le intenzioni altrui in modo cristallino, proprio come faremmo guardando una serie tv senza sonoro. La verità è che la gente è molto meno trasparente di quanto possa apparire, la cosa inquietante che emerge dalle ricerche collezionate da Gladwell è che tale effetto lo abbiamo anche con persone vicine a noi.
In realtà qui su Psinel parliamo di qualcosa del genere da anni, in caso fossi qui per la prima volta devi sapere che in questo blog puoi trovare decine e decine di post, audio e video dedicati al non verbale. E’ stata una mia grande passione per anni, e per almeno i primi 5 anni di vita di questo progetto ne abbiamo discusso in lungo e in largo. La prima volta che sono entrato in contatto con l’idea di interpretare questi atteggiamenti non era ancora scattato il nuovo millennio, era l’ottobre del 1999.
Spero quindi di riuscire a darti un quadro “maturo” della situazione sulla possibilità concreta di migliorare noi stessi approfondendo il tema del non verbale. Perché è facilissimo usare quei concetti per illuderci di diventare migliori comunicatori quando in realtà, stiamo sfuggendo dalla comunicazione per sentirci maggiormente sicuri e nella maggior parte dei casi trasformare le nostre aspettative in profezie che si auto-avverano.
Penso che tu sia “disonesto” e allora non farò altro che notare tutte le volte in cui potresti indulgere in comportamenti disonesti. Penso che tu sia una brava persona? Allora tenderò a cancellare tutti i tuoi comportamenti che potrebbero mettere in discussione questa mia idea ed evidenzierò invece tutti gli atteggiamenti che mi confermino che sei davvero “una brava persona”.
Prototipi e stereotipi
Potremmo spiegare questo fenomeno con molte teorie ma la più semplice è quella dello stereotipo, ancora una volta siamo di fronte al cervello risparmiatore. Se vede che tutto rientra nello stereotipo che si era creato, non vede il bisogno di aggiornare eventuali mappe per muoversi meglio nel territorio. Se pensi che un tuo conoscente sia affidabile, prima di renderti conto che potrebbe non esserlo dovrà fare diversi errori per confutare la tua idea iniziale.
Dopotutto se ci pensiamo bene è normale: mi hai mostrato una certa affidabilità e di certo non starò con il fucile puntato ad aspettarmi qualche tua inaffidabilità. E’ così che accordiamo fiducia alle persone intorno a noi, guardando se rientrano nelle nostre aspettative e se lo fanno abbastanza bene creeranno una cornice da cui è difficile discostarsi. Tutto ciò va benissimo con le persone che conosciamo bene, anche se ovviamente bisognerebbe essere attenti, ma diventa un vero e proprio pericolo con gli sconosciuti.
Infatti nel libro citato ci sono molti esempi di casi giudiziari importanti che sono finiti male perché gli imputati non rientravano in uno stereotipo. Per fare un esempio comune: vai al funerale del padre di un tuo amico, vedi che lui è distrutto, piange in continuazione ed è visibilmente provato. Poi conosci sua sorella ma non la vedi triste altrettanto, anzi la vedi ben vestita e truccata, a questo punto sarà facile pensare: “La sorella non era così legata al padre come il fratello”… giusto?
La riposta è: assolutamente NO… non è affatto detto che la sorella volesse meno bene al padre, ci sono molte motivazioni soggettive che non conosciamo. Ad esempio: potrebbe essere una persona che ha già pianto tutte le lacrime possibili; oppure non ama farsi vedere triste in pubblico ecc. Insomma le cose che non sappiamo sono tantissime eppure, il fatto di sapere a priori come ci si dovrebbe comportare fa si che quel suo comportamento possa accendere in noi interpretazioni davvero sbagliate.
Il contesto (funerale) crea in noi aspettative su come la gente dovrebbe agire, se esse dovessero essere disattese la pena è una interpretazione (spesso) uguale e contraria: non ridi al tuo matrimonio? Allora forse non ami davvero il tuo partner. Questa faccenda sembra solo una questione di buon senso ma è molto più pericolosa di come la sto mettendo.
Gli stereotipi non sono corretti?
Fino ad ora mi sono limitato ad analizzare situazioni nelle quali, se non ci comportiamo in un certo modo non solo stiamo violando uno stereotipo ma rischiamo di essere maleducati e fuori luogo. Di certo se mi inviti al tuo matrimonio e io me ne sto in un angolo tutto il tempo a piangere, è facile capire che c’è qualcosa che non va. Tuttavia, per quanto la gente possa essere attenta penserà quasi di certo che io sia poco rispettoso di quella festa a cui mi hanno invitato.
Per tanto è normale cercare di uniformarci alle aspettative delle altre persone, in modo ancora più stringente quando esse sono legate a rituali come quelli descritti. Ma nelle situazioni non ritualizzate come funziona? Funziona ancora peggio, perché è proprio qui che tendiamo a cascare con tutte le scarpe nei nostri schemi limitati dall’economia cognitiva.
Come abbiamo visto gli stereotipi ci servono per risparmiare, dunque nel momento in cui riesco ad inquadrare uno sconosciuto questa sensazione di aver “capito” non solo è economica ma è anche piacevole: “Ah ora ho capito come sei fatto”. Ogni volta che arriviamo a pensare qualcosa del genere dovremmo diffidare delle nostre ipotesi, a meno che non siamo in una situazione “mordi e fuggi” in quel caso affidarci agli schemi può essere molto utile.
A meno che… il nostro lavoro non sia valutare gli sconosciuti! Una cosa è sapere per noi che sarebbe bene non affidarci alla prima impressione (cosa di cui abbiamo già discusso in passato) ed un’altra è se facciamo un lavoro in cui è necessario valutare. Come mostra Gladwell nel suo libro, i casi giudiziari in cui gli imputati hanno violato lo stereotipo del bravo ragazzo, hanno creato diversi problemi alle persone che ci si sono trovate nel mezzo.
Se ad un semplice controllo di polizia ti mostri agitato, inizi a sudare, balbettare e ti tremano le mani è molto probabile che gli agenti approfondiscano ulteriormente la situazione. “Perché è così agitato? Non starà mica nascondendo qualcosa?”, ma come possiamo facilmente immaginare le cose solitamente sono proprio al contrario: chi nasconde qualcosa si prepara, ha il tempo di anticipare un eventuale controllo (anche solo mentalmente) e dunque è probabile che sia più tranquillo della media.
Il non verbale nella crescita personale
Il problema dunque è sicuramente sociale ma è anche personale, dato che da decenni molti “esperti” parlano dell’importanza di interpretare il non verbale per comunicare meglio e capire se una persona sta mentendo. Ma come ti ho detto ormai troppe volte, questa è una pia illusione… o meglio, la prima parte è vera: conoscere il non verbale può aiutarci a comunicare meglio ma la seconda è sbagliata, non è vero che puoi imparare a capire se una persona mente semplicemente guardandola negli occhi!
Lo so che molti di voi staranno pensando: “forse tu non ci riesci, ma io sono bravissimo a capire se mi cugino mente” si certo, le persone che conosciamo bene spesso sono più trasparenti perché c’è una relazione che intercorre tra di voi. Ma uno sconosciuto e a volte, anche nostro cugino se si impegna, è molto difficile da sgamare. In caso tu non abbia ascoltato o letto nulla di Psinel prima di questo episodio devo dirti un’altra cosa che forse dai per scontata:
Se l’analisi del non verbale, anche a livelli più raffinati (come le tecniche di Ekman, in cui sono formato), fosse così veritiera i processi sarebbero molto più rapidi. “Mi dica imputato, è stato lei ad uccidere quella donna?” intorno uno stuolo di telecamere ed esperti del non verbale ci direbbero subito se quella persona è colpevole o meno, no? Ma le cose sono più complesse di così, non riescono a farlo neanche con alcune moderne macchine della verità che hanno davvero dell’incredibile (sono vere e proprie risonanze magnetiche che guardano nel cervello).
Con questo non voglio invitare la gente a smetterla di studiare il linguaggio non verbale, anche perché l’unico modo per capire quanto ti sto dicendo è proprio farne esperienza. Cioè solo studiandolo e praticandolo approfonditamente si può capire che è molto più difficile di quanto non sembri e che, proprio quando ci illudiamo di aver capito è il momento di rivedere le nostre ipotesi iniziali.
Avendo partecipato e tenuto decine di corsi su questo tema posso assicurarti che le più grosse incomprensioni nascevano proprio dal tentativo di una persona di dare un senso ai gesti altrui. Pensaci, ti trovo per strada e ti chiedo: “come stai?” e tu mi rispondi con voce dimessa: “bene bene” al che io ti guardo e ti dico: “non me la conti giusta, dimmi meglio, come ti senti?”. Se la persona sta davvero male o ha bisogno di conforto si sentirà accolta e ascoltata ma se così non fosse…
Gesti e inconscio
Dato che i nostri gesti e il nostro non verbale è visto come spontaneo ed istintivo è ovvio vederlo come una parte delle nostre manifestazioni inconsce. Fin qui è tutto vero, il nostro non verbale precede l’acquisizione del linguaggio, arriva senza una mediazione della consapevolezza ed è spesso rivelatore delle nostre intenzioni. Tuttavia, questa faccenda non è vera al 100% perché le con-cause sono davvero tante tante.
Credere che ciò che vediamo nel non verbale del nostro interlocutore ci dica di più delle sue parole, che possa farci sapere (meglio del nostro interlocutore stesso) come si sente davvero, ecco questa è una bella trappola. Capiamoci, qui conta molto di più la qualità della relazione, la quale se è presente farà si che i vostri gesti abbiano significati più precisi. Facciamo un esempio in ambito seduttivo, immagina di essere intento a sedurre una persona.
Se l’hai già conosciuta e ci stai chiacchierando seduto ad un tavolino, ecco che potrai interpretare i suoi gesti come di piacevolezza o meno in modo abbastanza preciso. Perché si sarà instaurato come un gioco relazionale tra di voi, tu ti avvicini, lei si sposta un po’, tu sorridi e lei si morde le labbra e così via… ma se guardi una ragazza da lontano e questa si morde le labbra mentre ti guarda la probabilità che quel gesto sia avvenuto perché tue le piaci, saranno decisamente molto molto basse.
Anche per interpretare il non verbale serve una sorta di contesto, serve una relazione, senza queste cose le nostre interpretazioni non solo saranno poco precise ma potranno condurci decisamente fuori pista. Poi, una volta avviata la conoscenza arriveranno altre difficoltà come: il distaccarsi dall’idea iniziale per rivederla, il bias di attribuzione, quello implicito ecc. Potrà sembrare assurdo doverlo affermare ma noi non possiamo leggere la mente altrui.
E non solo, la nostra attenzione è solitamente rivolta verso noi stessi e si fa ingannare da un sacco di cose differenti. Quante volte hai sentito dire: “eppure sembrava un bravo ragazzo, non capisco cosa lo abbia spinto”, tutti i giorni. Questo non succede perché la gente è “cattiva e menzognera” ma perché la gente è complessa e tridimensionale, e quando noi pensiamo a noi stessi (errore di attribuzione) tendiamo a credere di essere complessi e sfaccettati, ma quando pensiamo agli altri li vediamo come semplici e prevedibili.
Fiducia
Tutto ciò che ti ho raccontato può farci sentire senza fiducia nei confronti del prossimo ma in realtà è proprio il contrario. Dato che in realtà non possiamo davvero interpretare le intenzioni altrui noi di solito abbiamo una sorta di “bias della fiducia”, tendiamo a fidarci di default. Non so tu, ma personalmente non mi metto a contare tutti i centesimi di resto al bar, mi fido che il cassiere faccia bene i conti, eppure può capitare che non li faccia abbastanza bene, dunque?
Per quanto mi riguarda la soluzione non è smetterla di fidarsi, certo se sei un posto sconosciuto dovresti farlo ma in generale, con le persone che ti circondano è un bene che vi sia fiducia cieca. Cioè cieca non tanto perché sia incondizionata ma perché il nostro cervello, una volta accordata la fiducia fa fatica a rilevare gli eventuali inganni. Tuttavia la nostra società moderna si fonda proprio sulla capacità di dare fiducia non su quella di sgamare i furbetti.
Anche sul tema della fiducia abbiamo già discusso molto ma è bene sottolineare la questione: certo che le persone intorno a noi possono fregarci e, se lo fanno adeguatamente faremo molta fatica a redercene conto. Perché chi vuole fregarti passa dal viatico della fiducia personale, sa che la gente tende naturalmente a fidarsi di chi è riuscito a creare anche solo un minimo legame relazionale.
Tuttavia sono convinto che nessuna grande impresa umana si sia mai potuta verificare in assenza di fiducia. Quando questa qualità umana viene a mancare anche ciò che si produce al suo opposto è deleterio per noi e per la società. Sospetto, dubbio relazionale, segnali di tradimento, sono tutte cose che non solo minano le relazioni ma minano anche la nostra serenità personale. Per questo in una relazione dovremmo sempre applaudire chi ha avuto fiducia e biasimare chi l’ha tradita.
Sembra strana questa affermazione ma nel nostro mondo cinematografico sembra che “il più furbo” sia anche il migliore ma le cose non stanno così. Se tutti facessero i furbi la società attuale crollerebbe, il che non significa che non possa capitare di tradire, di fregare anche solo per motivazioni contigenti ma ciò che è importante per me è smetterla di dipingere “chi viola la fiducia” come la persona furba e scaltra e chi invece la mantiene, come il pollo che si fa fregare.
Nelle giuste condizioni TUTTI siamo polli, ecco perché dovremmo modificare questo punto di vista. Dando più valore a chi riesce ad accordare la fiducia, non in senso omertoso (come spero sia evidente) ma in senso virtuoso e dichiarativo. Dare fiducia al prossimo significa darla alla società, ai patti, alle promesse, alla responsabilità che ognuno si assume e in definitiva significa dare più fiducia a TE stesso. Insomma mica “pizza e fichi”…
A presto
Genna