Nonostante siano passati ormai più di 10 anni da quando ho iniziato a praticare ed insegnare la Self-Kindness ho sempre qualche remora nel dire alla gente: “non so se lo sai ma una delle cose più importanti che tu possa fare per la tua crescita personale è: diventare più gentile”. I motivi sono molti ma il principale è legato al fatto che la gente pensa che gentilezza significhi debolezza… ma le cose sono proprio opposte… ecco le prove…

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Lo Stato dell’Arte

Non è un caso che io sia qui a parlarti di Self-Kindness (per gli amici SK), ne parliamo da decenni e qualche anno fa abbiamo creato un percorso dedicato. Come ogni PerCorso di Psinel si fonda sulle ricerche più recenti. Come facciamo ad aggiornarli? Ogni mese lo dedichiamo ad un progetto e questo è dedicato alla SK, durante questo periodo rivediamo il programma formativo e prepariamo una piccola offerta per i nostri clienti affezionati. (Non si vive di sola aria).

In questo processo mi prendo la briga di fare sempre una approfondita ricerca bibliografica per capire in che punto siamo della ricerca. Non riesco a farlo sempre benissimo perché questo mondo è una giungla, tuttavia ho la fortuna di farmi aiutare da mia moglie che per mestiere si occupa proprio di fare ricerche bibliografiche. Ogni volta che inizio questo processo sono sempre intimorito e mi chiedo: “troverò studi che distruggono quanto detto prima?”.

Perché la ricerca in realtà funziona per confutazione e non (solo) per verifica. In altre parole la maggior parte della ricerca che trovi in giro non si occupa di verificare o confermare le proprie ipotesi (purtroppo capita anche questo ma raramente sono studi seri) ma cerca di fare proprio il contrario: la scienza non si fonda su basi solide ma su macerie di teorie che sono state abbattute e messe da parte. E’ qualcosa di strano perché è contro-intuitivo.

Noi quando cerchiamo di capire se una cosa funziona ci comportiamo esattamente come uno scienziato: vediamo che quel maglione piace alla nostra amica/o che ci interessa? La volta dopo cercheremo di indossarlo nuovamente. Dato osservativo: abbiamo ricevuto un complimento sul nostro maglione. Ipotesi: questo indumento aumenta la probabilità che quella persona mi si avvicini. Esperimento: rimetto il maglione quando la rivedo e cerco di capire se l’ipotesi era corretta o meno.

Questo è più o meno come procede il metodo scientifico: osserva delle cose, crea delle ipotesi e cerca di metterle sul banco di prova con gli esperimenti. Ora quando sappiamo che una ipotesi ha funzionato iniziamo a costruire una teoria su questo tema, ad esempio, ad oggi sappiamo che trattarci con gentilezza aumenta la motivazione, l’autostima, la capacità di gestire le emozioni, le relazioni, migliora il nostro relazionarci con il mondo in generale. Quando una teoria ha così tante “frecce nel suo arco” ecco che ciò che si dovrebbe fare è tentare di smontarla.

Prove di stabilità

Più materiale scientifico emerge su un certo tema e più si alza la probabilità che qualcuno abbia scovato una falla nel sistema. Cioè i ricercatori non cercano più di scoprire il fenomeno (dato che in teoria è già evidente) ma cercano di capire se è stabile, se è ripetibile ecc. Per questo di tanto in tanto sentiamo roboanti notizie del tipo: “la meditazione non funziona come pensiamo, potrebbe fare male” perché un giornalista trova quell’articolo particolare che ha cercato di minare qualcosa di molto solido.

Per fortuna anche nella ricerca una rondine non fa primavera. Così come un singolo studio non prova l’efficacia o l’esistenza di un meccanismo, allo stesso modo raramente una sola ricerca smonta un intero impianto teorico. Tuttavia dato che in mezzo a tante papere bianche una nera spicca, allo stesso modo le confutazioni spesso spiccano rispetto alle conferme. Questo era per spiegare come mai di tanto in tanto emergono titoli che sembrano distruggere teorie del passato, la maggior parte delle volte sono dati dalla ignoranza del giornalista di turno.

Ma non sempre, a volte davvero le teorie sono confutate ed è uno degli scopi principali della ricerca. Se ti piacciono questi temi di certo starai pensando da tempo a Popper, ed effettivamente è stato proprio lui a tirare in ballo queste tematiche. Ecco per quanto riguarda la nostra SK, nonostante la grande mole di ricerche, non ci sono ancora i “falchi tiratori” che siano riusciti a minarla e la cosa dovrebbe sorprenderci, perché? Perché essere gentili con se stessi, così come meditare, sembrano tutte cose newage senza alcun fondamento razionale.

Come raccontato in puntata ci sono ormai migliaia di articoli su questo tema, ma ciò non significa che possiamo attaccare ad essi qualsiasi cosa. Per questo il principio della confutazione di Popper è essenziale, altrimenti a furia di confermare è possibile, attraverso un cherry picking, andare a pescare tutte le cose che ci danno ragione svilendo i metodi della ricerca. Per quanto possa sembrare assurdo il detto: “chi cerca trova” è verissimo e neanche i ricercatori più accorti rischiano di finirci dentro, dato che il sistema funziona sempre per “ipotesi”.

Perché è utile questo passaggio? Perché ultimamente sotto il cappello del termine “gentilezza” ci finisce davvero di tutto, come ad esempio il fatto che questa propietà abbia effetti biologici sul nostro DNA ecc. Per carità, tutto è possibile ma sforzare dei concetti che già hanno basi scientifiche forti, aggiungendovi correlazioni strampalate, non è il modo corretto di costruire una teoria scientifica. E ho voluto iniziare così, con un pizzico di metodologia perché la gente non conosce questi aspetti particolari.

NB. Qualche giorno fa in Live ho usato la ricerca e le sue conoscenze per smontare vecchi paradigmi che vengono usati ancora oggi per spiegare il nostro comportamento. Alcuni haters hanno scritto: “smettila di parlare male del lavoro degli altri e pensa al tuo“, purtroppo non hanno afferrato il fatto che cercando di confermare teorie obsolete stanno facendo del male al loro ambito divulgativo… che è anche il mio Quindi continuerò a farlo, soprattutto con i concetti che tratto qui su Psinel… (introduzione lunghetta ma fondamentale).

Gentilezza = Debolezza

La maggior parte delle volte in cui parlo di questo tema a chi non lo conosce la riposta è sempre la stessa: scusa ma se divento più gentile non divento più debole? Ed è una domanda sensata, viviamo in un mondo nel quale si cerca di insegnare alle persone a non essere “pleaser” cioè a non compiacere sempre gli altri, dimostrare la nostra assertività per farci valere, in una società della prestazione bisogna mostrare di essere cazzuti al punto giusto. Non in stile vecchio di uomo che non deve chiedere mai ma di una persona che deve costantemente mostrare intelligenza, interessi e soprattutto forza.

Oggi tutto ci dice che dobbiamo essere forti e non gentili: guardiamo un programma di cucina e vediamo che gli chef sono cattivi e tirannici. Vediamo un programma dove le persone fanno cambi di stile di vita incredibili (quelli in cui si perde peso ad esempio) e sentiamo che il coach di turno urla, offende, porta il concorrente allo stremo, come in un film d’azione. Ecco la ricerca ci dice che quel modo di fare è controproducente, non funziona, demotiva e porta velocemente a burnout e conflitti.

La verità è che la gentilezza verso se stessi non ha nulla a che fare con la debolezza. Non ha niente a che fare neanche con come ti rivolgi alle altre persone, puoi essere la persona più gentile del mondo e allo stesso tempo essere molto assertiva (io mi sento così in parte). Vedi è un circolo virtuoso molto bello, immagina di avere anche tu l’idea che essere gentili con se stessi conduca alla debolezza. In realtà le cose andrebbero in questo modo: solitamente siamo duri perché cerchiamo di comunicare agli altri la nostra forza ma se iniziamo ad essere più gentili ecco cosa succede…

Che ad un certo punto ci rendiamo conto che non è più necessario apparire costantemente duri. Attenzione non sto dicendo che le persone “dure” siano tutte sulla difensiva e non si rendano conto di essere intrappolate in un meccanismo perverso in cui cercano di dimostrare a tutti di essere forti. Ma molte persone fanno esattamente così: per evitare di sembrare deboli, soprattutto a SE STESSE, non si fermano a trattarsi con la dovuta gentilezza e ciò li rende sempre più identificati con il ruolo di “duri”. Ma in realtà tale meccanismo tarpa loro le ali, perché gli impedisce di accedere al loro pieno potenziale.

Come abbiamo visto molte volte, quando ci trattiamo in modo duro, soprattutto dopo esserci attivati in modo intenso (ad esempio dopo un errore, provando vergogna o senso di colpa), cerchiamo di scappare via da quei sentimenti o ignorandoli o confermandoli punendoci. Se tutto va bene riusciamo a lasciar andare quella attivazione, ma se prendiamo l’abitudine a giudicarci con durezza rischiamo di farla permanere più del necessario, ed è proprio in questi frangenti che la SK fa miracoli.

Atteggiamento gentile non significa essere gentile

Trattarci con gentilezza non significa essere gentili, anche se non ti senti per niente una persona gentile, magari perché proprio questo termine non ti rappresenta, sappi che la SK è un esercizio non è un modo di essere. Essere più gentili è un lavoro che richiede per prima cosa il renderci conto che solitamente non lo siamo e questa scoperta non piace a nessuno. Alcuni di voi sanno perfettamente come tendono a trattarsi, soprattutto chi conosce il lato oscuro del proprio giudice interiore, ma la maggior parte non lo sa affatto.

Da psicoterapeuta ho avuto l’occasione e la fortuna di lavorare con tantissime persone e posso assicurarti che anche nei casi più assurdi, nei quali era evidente un giudice tiranno, le persone non riuscivano a capire cosa intendessi (Nota: indipendentemente dal problema). Perché è una cosa che dobbiamo imparare a cogliere, ripeto: se per caso ne sei ultra consapevole è forse perché si tratta di qualcosa con cui combatti da tempo… ecco smettila di combattere ed inizia a trattarti con gentilezza, compresa quella vocina negativa.

Serve un lavoro specifico per diventare più gentili, non basta sapere che è necessario esserlo (o meglio farlo!). Sarebbe come dire: per riuscire a sopravvivere in mare bisogna saper nuotare. Ok, ma se non so nuotare come me lo spieghi? Restando in metafora la risposta è semplice: tuffandoci in acqua e provando sulla nostra pelle cosa significa prima galleggiare, stare in acqua e poi a nuotare. Ed è chiaro che l’abilità nel nuotare può avere diversi livelli: una cosa è galleggiare, un’altra è nuotare a cagnolino, un’altra ancora è fare uno stile specifico adeguatamente, ecc.

Lo stesso vale per la SK, prima dobbiamo capire come ci trattiamo e come tendiamo a farlo. Il che equivale al tuffarsi in acqua, una volta presa dimestichezza con il tuffo dobbiamo imparare a galleggiare. Gli istruttori ti diranno: “tranquillo tu galleggi naturalmente” ma tu non ci crederai fino a quando non sperimenterai quel tipo di galleggiamento naturale, che in realtà però richiede calma e controllo del corpo. Come vedi questo discorso è valido per ogni abilità complessa che dobbiamo acquisire, lo stesso vale per la nostra meditazione.

Se contassi tutte le persone che ogni giorno mi scrivono cose del genere: “salve dottore, io cammino ogni giorno per andare a lavoro, per me è una meditazione in piena regola, sono nel presente e quando mi distraggo me ne accorgo e torno nel presente, è valida come meditazione formale?” La risposta ad una domanda del genere è “dipende“, perché sarebbe come dire ad un personal trainer che quella camminata potrebbe sostituire un pezzo dell’allenamento… ma è davvero così? La risposta è no, perché per imparare a meditare serve un periodo di addestramento e se non lo hai mai fatto è difficile che tu sia capace di farlo… anche se cammini tutti i giorni!

Lo stato dell’arte

Ovviamente non possiamo terminare questo post senza citare le ricerche scientifiche che ho menzionato nella puntata, la prima è semplice è quella di fare una bella ricerca su google scholar, la trovi qui sulla nostra Self-Kindness. La prima prova ci mostra 430000 articoli, ovviamente raduna ogni tipo di pubblicazione, probabilmente anche i post di questo blog, ed è per questo che con una piccola ridefinizione dei filtri è possibile arrivare al risultato che troverai nel link qui sopra (13800 all’11/10/2023).

All’interno di questa carrellata scoprirai che questa faccenda che lega Self-Kindness all’autostima, al benessere mentale e fisico non è una nostra prerogativa. La revisione sistematica più recente risale al 2023, come vedrai si tratta dell’applicazione più nota: la meditazione dell’amore compassionevole. La Metta di cui ci occupiamo nei nostri PerCorsi di Meditazione e di cui sicuramente avrai già sentito parlare.

Si tratta della stessa cosa? In fondo si, ma in fondo in fondo… nel senso che così come possiamo prendere alcuni aspetti della pratica meditativa tradizionale e usarli nella nostra vita quotidiana, ad esempio per aumentare la nostra attenzione possiamo fare altrettanto con la pratica dell’amore compassionevole e non siamo i primi a farlo.

Se per caso hai visto la serie Netflix sul “Metodo del dott. Sultz e poi hai letto il libro (oppure seguivi Psinel da diversi anni ;-)) allora avrai sentito parlare dell’esercizio “dell’amore attivo”, qualcosa che ha molto a che fare con la metta tradizionale. La Self-Kindness invece è un concetto reso noto da Kristin D. Kneff come atteggiamento globale ma dato anch’esso dal medesimo meccanismo. Infatti per riuscire a farlo bene è necessario spogliarsi di fronte alle proprie debolezze.

Non è un semplice: “ok mi accorgo che sbaglio, mi perdono e torno a fare le mie cose”, è più un cercare di riconoscere che ci siamo rimasti male per quell’errore e allo stesso tempo non compatirsi ma abbracciarsi. Lo so detta così sembra una roba lunga, tediosa e pseudo-magica, ma riguarda proprio la capacità di non scappare di fronte al naturale dolore che proviamo quando facciamo un errore.

Nel lungo andare questo atteggiamento abbassa le nostre difese consentendoci di entrare maggiormente in contatto con noi stessi e con gli altri… insomma è uno dei miei esercizi preferiti, fallo per qualche settimana esattamente come descritto nel Podcast, guarda il video Extra per rifinire le ultime cosette… e poi torna qui a farci sapere com’è andata!

A presto
Genna

Ps. Le immagini degli ultimi 2 episodi sono state create da Chat-GPT 4


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.