Che ti piaccia o meno il calcio, che tu abbia seguito o meno gli Europei 2020, segui questo post fino alla fine perché ha tante cose psicologiche da insegnarci. No non ti parlerò di quanto è importante lo spirito di squadra, la motivazione e cose del genere ma del perché “tifiamo”.

Metteremo insieme un po’ di ipotesi su come funziona “il tifo”, perché alcune persone hanno messo a ferro e fuoco le città nonostante la vittoria e come applicare questo “modello” (quello positivo) nelle nostre vite. Insomma un sacco di roba… buon ascolto

Tutti abbiamo bisogno di un “perché”

Come abbiamo visto molte volte noi inseguiamo più o meno consapevolmente dei “perché”, qualcosa che è importante per noi in un determinato contesto e periodo. Quando siamo piccoli questi perché cambiano di continuo ma sono molto importanti.

Perché da piccoli dobbiamo ricercare dei “modelli da seguire” qualcosa con cui poterci identificare. Siamo alla ricerca di una identità e la troviamo dove è già presente, una identità culturale fatta di valori già predefiniti e chiari. Qualcosa di molto confortevole che ci da appunto un “perché” da perseguire.

Secondo Harari questo “perché” è ciò che ha concesso a popoli interi di passare da piccole tribù di qualche centinaio di persone a enormi metropoli. Secondo lo storico troviamo questi valori in un solo modo, anzi nell’unico modo possibile per noi: attraverso delle narrazioni.

La narrazione religiosa, quella dello stato, quella della famiglia di appartenenza ecc. Una qualsiasi bandiera da poter seguire tutti insieme, senza la quale, saremo ancora dispersi in piccoli nuclei a farci la guerra l’un l’altro. Ma se tutti possiamo combattere per lo stesso “perché” ecco che la cosa diventa più facile e soprattutto più utile.

In che senso utile? Nel senso che ci aiuta a sopravvivere, visto che siamo animali sociali e che senza le reti di relazioni non riusciamo a sopravvivere, ecco che l’evoluzione si inventa “le storie” attraverso le quali possiamo trasmettere valori ed insegnamenti condivisi.

Le storie

Come abbiamo visto in questo episodio le storie sono probabilmente il metodo più potente mai inventato da essere vivente per trasmettere “cultura”. Per cultura non s’intende solo “le cose colte che conosciamo” ma si intende qualsiasi cosa possa essere utile per la sopravvivenza di un popolo.

I miti che ci raccontiamo dalla notte dei tempi sono zeppi di valori, pedagogia, ispirazione e motivazione sul perché ci definiamo in un certo modo. Le storie sono sia veicoli di informazioni formidabili e allo stesso tempo possono mettere tutti sotto la stesso “valore guida”, la bandiera, che ci consente di sacrificarci nel nome di una “causa”.

Questa causa è qualcosa che può essere veicolato solo attraverso la cultura e non attraverso i geni. Ed è questa capacità di trasmissione culturale la vera forza degli esseri umani, non di certo la trasmissione genetica, così lenta e poco prevedibile.

Quindi abbiamo bisogno di tutto ciò che ci aiuta ad identificarci con valori comuni, che siano nemici contro cui combattere, Dei da preservare o addirittura, la nostra squadra di calcio del cuore. Si, hai capito bene, anche gli sport veicolano valori importanti da millenni, aiutano le persone in questo processo di identificazione e condivisione di storie.

Per quanto possa sembrare assurdo anche la narrazione sportiva segue quelle stesse regole di produzione mitologica che serviva un tempo per nobilitare le origini di un popolo. Per dare valore ai rituali di una certa religione e per dare forza agli insegnamenti veicolati dal passato.

Simboli

Tutte queste cose sono “simboli” che veicolano qualcosa, e sono cose che avevano già intuito millenni fa i nostri antenati. Come hai sentito in puntata lo facevano gli antichi Greci con le Olimpiadi, i Romani con i gladiatori e le corse delle bighe, ecc.

Sappiamo dalle cronache come i Romani utilizzassero i gladiatori per veicolare messaggi politici molto forti: dal guadagnarsi la libertà al rappresentare forze politiche in campo. Tutti questi simboli veicolati da narrazioni hanno un forte aspetto psicologico, il potere di farci sentire di appartenere ad una identità ben definita.

E visto che il concetto di identità è più dinamico di quanto ci piaccia pensare, avere dei simboli forti con cui identificarci è un ottimo modo non solo per veicolare valori e dare informazioni di un certo tipo (anche ovviamente per manipolare) ma soprattutto per stabilizzare il concetto di identità dentro ognuno di noi.

Che lo si voglia o meno quando ci identifichiamo con alcune cose ne prendiamo i valori, consapevolmente o molto più spesso inconsapevolmente. Una comoda identificazione che aiuta le persone a trovare anche i propri perché, ma ecco la nota dolente e auto biografica:

A me il calcio non è mai piaciuto, ho provato a farmelo piacere da ragazzo perché intuivo il suo potere aggregativo. Quelle 3 volte che sono stato allo stadio mi sono anche divertito ma non sono mai riuscito a portare avanti una vera “fede calcistica” ma mondiali ed europei mi hanno sempre affascinato… perché?

Il fascino della Nazione

Perché al contrario di quando si tifano i Club calcistici quando c’è la nazionale non è una guerra continua ma uno stato di aggregazione comune in tutto il Paese. E’ difficile non sentire questa forza che trascina le nostre Città durante questi avvenimenti sportivi, personalmente gioisco per ogni atleta italiano e per ogni nostra produzione all’estero.

Forse sempre per lo stesso principio: “ho bisogno di sentire che i valori con cui sono cresciuto e con cui, in un qualche modo mi sono identificato” non siano solo tanti buoni propositi ma siano reali e perché no, vincenti. Ed ecco perché quando l’Italia vince vinciamo un po’ tutti, perché tendiamo ad usarlo come “valore guida” per la nostra identità.

Non conta che tu sia nazionalista o meno (cosa che ti invito ad approfondire negli scritti di Harari) affinché tu possa essere risucchiato in questo vortice. Per tanto, se come me non sei tifoso ma ti ritrovi a tifare durante questi eventi, è del tutto normale che capiti. Così come è del tutto normale che la cosa ti interessi ma sino ad un certo punto.

Ad esempio ho visto la semi finale in un posto stra pieno di gente, ero con un carissimo amico e abbiamo praticamente passato tutta la sera a parlare e ci siamo soffermati sulla partita solo durante le fasi salienti. Un vero tifoso non l’avrebbe mai fatto!

Ognuno ha il proprio grado di identificazione, che quando è troppo alto fa come tutte le identificazioni: ci rende rigidi e stupidi. Se sei troppo identificato con i tuoi pensieri e le tue emozioni soffri, se sei troppo identificato con i risultati sul lavoro soffri, se sei troppo identificato con X, soffri!

Flessibilità cognitiva

I miei colleghi descrivono la flessibiltà cognitiva come la capacità di renderci conto delle nostre identificazioni per abbandonarle quando non sono più utili. Se ad esempio sei troppo identificato con il fatto di essere il migliore nel tuo reparto, o nel tuo ufficio, questo può portarti a diventare perfezionista, invidioso, litigioso ecc.

Lascia che ti racconti una storia: quando vivevo nella mia casa dello studente avevamo un garage dove parcheggiavamo bici e motorini. Durante l’estate le case dello studente chiudevano per circa un mese, da agosto a fine settembre, gli studenti come me dovevano fare ogni anno dei piccoli trasolochi.

Per fortuna c’era una sorta di prevedibilità nel fatto che, se avevi fatto gli esami ed eri in linea con il piano di studi avresti ripreso più o meno quella stessa casa dello studente. Così i ragazzi lasciavano pacchi, bici e motorini nel proprio stabile, sapendo di ritrovarli dopo la pausa estiva.

Io lasciamo il mio scooter li tutti gli anni e quando tornavo, magari a inizio settembre per la sessione estiva, ospite magari di amici, trovavo sempre le mie cose, compreso il mio mitico Zip (il motorino). Un anno però, arrivo in studentato e in portineria c’è Davide, uno dei portieri più rigidi ed invasati.

Arrivo, lo saluto e gli chiedo le chiavi del garage per andare a prendere il MIO motorino, al che lui mi dice: “mi dispiace sono le 15 e posso dare le chiavi del garage in questo periodo solo fino alle 12. Al che gli spiego che, primo il motorino è MIO, e secondo che senza motorino mi avrebbe costretto a prendere un taxi per i miei progetti.

Non ne volle sapere nulla, non ti dico come ho fatto ma sono riuscito lo stesso a prendere il mio scooter ma litigando ferocemente contro una fissità cognitiva mai vista. Posso assicurati che quando ho riferito questa storia al direttore si è messo a ridere e mi ha detto: “Eh lo sai che Davide è un po’ rigido su queste cose”.

Storie

Lo so questa storia è lunga ma posso assicurarti che ciò stava facendo quel portiere era perfettamente in linea con come si comportava sempre: “nel dubbio seguo pedissequamente le regole, anche se sono davvero stupide”. Era una storia a cui il portiere aderiva con esagerata veemenza.

Così come abbiamo visto in altri contesti in questi anni parlando di identificazione e disidentificazione, allo stesso modo i tifosi spesso tendono ad esagerare questa identificazione. Arrivando a picchiarsi, uccidersi nei casi peggiori o come è accaduto durante questi Europei, mettendo a ferro e fuoco le nostre città, senza un vero motivo.

Ho avuto la fortuna di vedere la finale con gli amici, in un parco pieno di gente, mentre ero lì in mezzo a molte molte persone nessuno mi aveva rotto le scatole. Ma quando ho preso lo scooter (un altro non quello del collegio) e, verso le 2 di notte sono tornato a casa, diversi gruppi di tifosi hanno cercato di fermarmi, non per cosa ma non volevo scoprilo.

Insomma dietro una partita di calcio c’è molto molto di più, non si tratta di uno sport stupido come per anni ho creduto, ma di un modo con il quale cerchiamo una nostra identità e in alcuni casi è davvero una ricerca piacevole. Ma dovremmo insegnare i principi esposti nella puntata per far capire alle persone cosa gli accade in quel momento.

Nel Qde ti svelerò come ho preso lo scooter infinocchiando il portiere ed approfondiremo alcuni effetti psicologici descritti nella puntata.

A presto
Genna


Gennaro Romagnoli
Gennaro Romagnoli

Mi chiamo Gennaro Romagnoli e sono uno Psicologo, Psicoterapeuta ed esperto di Meditazione. Autore e divulgatore di PsiNel, il podcast di psicologia più ascoltato in Italia. Se desideri sapere di più clicca qui.